Napolitano, primo discorso sulle foibe

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DEL”GIORNO DEL RICORDO”.

Quirinale, 10 febbraio 2007.

Lo scorso anno il Presidente Ciampi volle che si svolgesse qui la prima cerimonia di conferimento della medaglia del “Giorno del Ricordo” a famigliari delle vittime – come recita la legge dell’aprile 2004 – “delle foibe, dell’esodo e della più complessiva vicenda del confine orientale”.

Raccolgo l’esempio del mio predecessore a conferma del dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato. Nell’ascoltare le motivazioni che hanno questa mattina preceduto la consegna delle medaglie, abbiamo tutti potuto ripercorrere la tragedia di migliaia e migliaia di famiglie, i cui cari furono imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe. E suscitano particolare impressione ed emozione le parole: “da allora non si ebbero di lui più notizie”, “verosimilmente” fucilato, o infoibato.

Fu la vicenda degli scomparsi nel nulla e dei morti rimasti insepolti. Una miriade di tragedie e di orrori; e una tragedia collettiva, quella dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, quella dunque di un intero popolo. A voi che siete figli di quella dura storia, voglio ancora dire, a nome di tutto il paese, una parola di affettuosa vicinanza e solidarietà. Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il “Giorno del Ricordo”: e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.

Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”. Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle barbarie del secolo scorso. Perché nel Novecento – l’ho ricordato proprio qui in altra, storica e pesante ricorrenza (il “Giorno della Shoah”) – si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. E non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo da oltre cinquant’anni costruendo.

È un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espressosi nella guerra fascista a quello espressosi nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia, un’Europa che esclude naturalmente anche ogni revanscismo. Il caro amico Professor Paolo Barbi – figura esemplare di rappresentante di quelle terre, di quelle popolazioni e delle loro sofferenze – ha mirabilmente ripercorso la sua esperienza: specie quando ha parlato del “sogno” e del progetto europeo in cui egli ed altri cercarono in modo illuminato il risarcimento e il riscatto oltre l’incubo del passato e l’amarezza del silenzio. Ed è giusto quel che egli ha detto: va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata – torno alle parole del Professor Barbi – la “congiura del silenzio”, “la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio”. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali.

Oggi che in Italia abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliamo, è la verità. E quello del “Giorno del Ricordo” è precisamente, cari amici, un solenne impegno di ristabilimento della verità.

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4 pensieri su “Napolitano, primo discorso sulle foibe

  1. Io mi riferisco ANCHE A quelle perpetrate al popolo italiano in questi ultimi anni. Non se n’è reso conto? Migliaia di famiglie, con prole, che vivono per strada, occupando edifici abbandonati,senza servizi, e commessi parlamentari ( titolo richiesto 3′ media ) che guadagnano 5 volte un ingegnere. Le potrei citare mille altre situazioni, anche peggiori. Non sono crimini contro l’umanità, secondo Lei, ANCHE questi?

    1. Risposta: NO!!
      Evitiamo le dismisure e di equiparare cose non equiparabili, altrimenti si perde il lume della ragione e la possibilità di costruire o ricostruire alcunché.
      La categoria di “crimini contro l’umanità” è ben precisa e implica genocidi, deportazioni, torture e stermini di massa, pulizia etnica o per motivi religiosi, e talora anche crimini di guerra associati ai fenomeni suddetti. Altra cosa sono le disparità sociali e gli abusi del potere.
      Non si può impostare la riflessione su certi temi un tanto al chilo. Si finisce nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”. Si rischiano quei mali che ammorbano il nostro tempo, ossia l’abbrutimento e l’impotenza a comprendere e quindi ad operare effettivamente ed efficacemente sulla realtà.
      Un caro saluto,
      DB

  2. Carissimo Professor Breschi,
    leggo sempre con molto interesse e partecipazione i Suoi stimolanti ed appassionanti articoli. Anche quest’ultimo non delude le mie attese e, credo, quelle di tutti i Suoi innumerevoli lettori. Tuttavia mi permetto di proporLe una riflessione. E’ certamente assai importante ricordare, affinché mai possano più verificarsi le tristemente note barbarie (o barbariA come direbbe quel letterato di Letta) di cui l’umanità si è macchiata (Olocausto, Foibe ecc…). Tuttavia, alle giornate della memoria, dovrebbero necessariamente, a mio giudizio, affiancarsi, a pari, se non superiore livello, in termini di risonanza, informazione, opinione pubblica, le giornate del Presente. Cioè il ricordo vivissimo, perché attuale, di tutti i crimini commessi contro l’umanità oggi e negli ultimissimi anni. Troppo comodo, per i soliti noti, chiamare in causa le responsabilità di dittatori, o di fazioni politiche criminali di allora. E’ un modo per confondere e continuare a perpetrare i medesimi crimini, anche se sotto diverse forme. Che ne pensa? La saluto cordialmente, P.

    1. Caro Pantera,
      ha ragione, di crimini contro l’umanità se ne stanno compiendo molti, anche in questo momento. Non sempre è così facile perseguirli penalmente e reprimerli in termini di giustizia internazionale, in modo che non proseguano. Si fatica ad intervenire in aree scarsamente controllate da Stati piccoli e deboli (vedi il Darfur, in Sudan, dove al momento formalmente vige una tregua), figuriamoci ad impedire il protrarsi di persecuzioni in zone sotto la sovranità di potenze nucleari (e non solo) come Cina e Corea del Nord. È proprio notizia di ieri che la magistratura spagnola ha formalizzato un ordine internazionale di cattura e detenzione in carcere senza condizionale nei confronti dell’ex presidente cinese Jiang Zemin, dell’ex premier Li Peng e altri tre ex dirigenti del partito comunista cinese. Le accuse sono di “genocidio, tortura e lesa umanità” nel territorio del Tibet. Si parla di violenze come deportazioni, campagne di aborto e sterilizzazione forzate di massa, torture di dissidenti, crimini perpetrati contro la popolazione tibetana dal 1971, anno in cui il codice penale spagnolo recepì il reato di genocidio, al 2005.
      Se la Cina ha ancora i suoi Laogai, in Corea del Nord sono decine di migliaia i detenuti senza regolare processo, finiti in carcere perché accusati d’infedeltà al regime. Abbondano questi campi di detenzione, che nulla hanno da invidiare ai Gulag sovietici e ai Lager nazisti. Spostandoci in altre parti del pianeta, gli esempi di violazione grave e continua dei diritti umani potrebbero moltiplicarsi.
      Cosa fare allora? Molte ONG e la stessa ONU non mancano di puntare i riflettori su questi crimini correnti. Azioni punitive, anche sotto forma di sanzioni commerciali, anche quando applicate, si dimostrano solo raramente come efficaci. Con colossi come la Cina, poi, risultano sostanzialmente impraticabili. Per certi versi, ciò consente di evitare guerre cosiddette “umanitarie” che, non di rado, aprono veri e propri vasi di Pandora.
      Informazioni, volendo, su questi odierni crimini contro l’umanità ci sono. Bisogna anche stare attenti a non farsi assorbire ed inquinare dalle contrapposte propagande di guerra che, nei conflitti – spesso guerre civili – da cui scaturiscono questi crimini, cercano comprensibilmente di influenzare e conquistare alla propria causa l’opinione pubblica occidentale.
      Se infine vuole sapere se penso che dietro i crimini odierni ci siano sempre o spesso gli occidentali, rispondo che non lo credo affatto. Può capitare e capita, come sempre è capitato nella storia, mossa com’è dal perseguimento di interessi e ambizioni contrapposte da parte di soggetti statali e para-statali, nonché extra-statali. La storia è questione di rapporti di forza, ma c’è chi unisce alla forza una volontà di pace e costruzione. Le nostre modeste forze intellettuali e di informazione devono spingere in quest’ultima direzione.
      Un caro saluto, e grazie.
      DB

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