incede sempre audace
la sposa che ha per velo
un amaro spicchio di vento
tagliato netto in quel giorno,
giorno in cui ebbi a scoprirti
malattia congenita delle mie ossa
così ogni tre passi cado a terra
e ora sbircio nelle basse trame.
Chiedo venia se ti zoppico
i momenti felici e gravo sui tristi.
Eppure c’è un ritmo in quest’altalena
che mi spinge, le tue mani alle spalle.
beato te…io ho dovuto replicare ad articolo stizzoso sul Corfiorentino di un veterano del PD senese:
Caro Direttore,
dopo la presentazione calorosa a Palazzo Vecchio, grazie al Circolo Gobetti e alla Presidenza del Consiglio comunale, da Firenze sull’edizione del 20 u.s. perviene un giudizio sul libro a firma del senese Roberto Barzanti, già sindaco ed europarlamentare, letterato fine e dotto, che sollecita qualche precisazione.
Più volte ho detto che non c’è grande ‘piccola città’ comparabile con Siena? Non posso che ripeterlo, visto che argomentazioni convincenti in contrario non ne ho avute.
Ma al libro si rimprovera soprattutto “eccesso di partecipazione” (donde lo stile appassionato anziché la fredda analisi dello storico), l’aver promosso a movimento “Quelli di Montaperti” (in pochi? sarà, ma non hanno anche avuto ragione purtroppo, a differenza dei partiti di ‘massa’?) e gli anacronismi come l’uso di governo di “centro” per l’età del Buongoverno (primo secolo XIV, non ‘XVI’ come si legge in Barzanti). Ahimè, era proprio così: i Nove governanti in quel periodo si distinguevano programmaticamente dalla nobiltà (per semplificare la mettiamo a destra) e dalla ‘plebe’ (collocabile a sinistra?). Il nostro Medioevo è stato ‘modernissimo’, perché continuiamo a nascondercelo?
Gli anacronismi? Ma se sono il pane degli storici! Solo che sono sacrosanti quando servono, segno di leggerezza storiografica quando non piacciono. ‘Oligarchia’, categoria sulla quale anche verte il dissenso con Barzanti, in verità non esisteva neppure nel linguaggio politico senese. Ma quanto è stata usata per i Nove e, a mio avviso, a sproposito?
Lo stile appassionato non è solo frutto di convinzione sull’eccezionalità senese che Barzanti evidentemente non condivide. La passione, qui come nei miei manuali per studenti (di regola da loro conservati, anziché affidati alle bancarelle dopo l’esame), vuole far leggere la storia a un largo pubblico, cosa che gli storici italiani spesso dimenticano con i risultati sotto gli occhi di tutti.
Le pagine finali sono “umorali”, “si prestano a più di un’obiezione”? Sicuro, ma “democrazia oligarchica” non mi sembra un neologismo così strano per gli ultimi vent’anni di storia senese. Il problema è che la “crisi attuale” per il mio interlocutore è frutto “cui ha concorso in modo determinante” la “altezzosa e diffidente autosufficienza” senese.
Qui la sua semplificazione è molto più ardita delle mie, presunte, perché sposa la tesi per cui tutto si è consumato a livello locale, come se le istituzioni centrali di governo e i partiti nazionali fossero angioletti indenni da responsabilità. Vero, però, che a livello cittadino il coinvolgimento non è stato solo del/dei partiti, ma anche di larga parte della società civile, complici i media, le élites e gli intellettuali, universitari e non.
Perciò anche, come è sotto gli occhi di tutti, è così difficile trovare oggi una via di uscita. La Grande Semplificazione di Barzanti non è essa stessa un’espressione della crisi? Viene in mente un vecchio brocardo, che ammoniva prudentemente: “nemo iudex in causa sua”.