L’occhiata spenta non adesca la notte
trascinata nelle strade per misericordia
di lei che ne accese il bene poi il male
una volta estinto fu a futura memoria.
Di tanto in tanto l’anima vagola
nell’ambulacro suo tra gli echi normanni,
cui risponde un gabbiano novizio latore
dell’antica speranza per l’amore svernato
di lei che favola si fece volante e in addio
su tutto ciò che cuore lieve non reca
ai pensieri del chiostro sul mare e tra i roghi.
Hai evocato l’oscura presenza delle figlie di Lilit. L’eterno femminino che incanta e atterrisce. Sussurri e grida e oscene risate dalla profondità del buio, dentro l’anima, sotto lo sguardo obliquo di Ecate dall’alto. Ma il gabbiano col suo grido porta il senso di un altrove dove è possibile ancora la speranza.
Cara Piera,
questo tuo commento è molto bello, e coglie nel profondo quanto contengono i miei versi, con la stessa intenzione mitopoietica che spesso cerco anch’io.
Un abbraccio,
DB
meravigliosa……
se vai a vedere da a wordpress l’ho inserita
in un post danilo.
marcello
Ho visto. Grazie Marcello per la condivisione.
DB