recensione a: Leone Ginzburg, Garibaldi e Herzen, Roma, Castelvecchi, 2015
L’8 gennaio del 1934 Leone Ginzburg rifiutò di giurare fedeltà al fascismo. Decretato nell’agosto del 1931 ed entrato in vigore nell’ottobre di quell’anno, l’obbligo ai professori universitari di prestare giuramento di fedeltà non solo alla “patria”, come recitava un regolamento generale del 1924, ma anche al “regime fascista” fu respinto soltanto da tredici professori ordinari di università statali che, così facendo, persero cattedra, stipendio e pensione. Tredici su milletrecento. Ginzburg non è ancora professore di ruolo, ma libero docente di letteratura russa presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Ha soltanto venticinque anni.
Al fiero rifiuto seguirono per Ginzburg due anni di carcere. Un precoce combattente della Resistenza, che non imbraccerà mai le armi, risultando tuttavia uno fra i più integerrimi e tenaci avversari del regime. Collaborò alla fondazione della casa editrice Einaudi e cominciò a organizzare la dissidenza nel mondo intellettuale torinese già prima dell’arresto, riprendendo tale attività subito dopo la scarcerazione.
Norberto Bobbio, suo coetaneo e compagno di classe, ha ricordato come, studente di prima liceo al d’Azeglio di Torino, Ginzburg in “ciò che diceva portava l’impronta di una personalità ormai formata che non si lasciava guidare dall’opinione corrente”.
La sua vita, pur breve, è un vero romanzo. Lo conferma Antonio Scurati che su questa tanto avventurosa quanto reale biografia ha incentrato buona parte del suo nuovo libro, Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani), ottenendo fra l’altro il Premio Viareggio 2015 per la narrativa. Nell’incipit di questo romanzo si legge: “Chissà se Ginzburg, scrivendo quella lettera di resistenza, avrà gioito? Rinunciando a una brillante carriera, infrangendo la giovane promessa, avrà gioito, Leone? […] Noi che abbiamo avuto la sorte di nascere in un cantuccio di mondo agiato e protetto, noi non lo sappiamo cosa si prova in quei momenti, probabilmente non lo sapremo mai”.
La biografia di Ginzburg è quella di un singolo, ma anche di un intero popolo, quello ebraico, travolto dalla storia del Novecento che soffiò da Est verso Ovest. Figura degna di grande ammirazione per il coraggio delle proprie scelte e il rigore morale con cui le difese fino al sacrificio estremo. Morirà infatti a soli trentacinque anni, in carcere, il 5 febbraio del 1944, a seguito delle torture subite dai tedeschi.
Nel breve saggio Ginzburg ora ristampato dall’editore Castelvecchi ci rivela da quali idee e quali personaggi della storia trasse esempio e stimolo all’azione. Pubblicato in “La Cultura” nel 1932, lo scritto sui rapporti tra Giuseppe Garibaldi e Aleksandr Herzen ci dice infatti quanto importante sia stato il Risorgimento nell’alimentare ideali di opposizione al fascismo che non fossero totalmente debitori di ideologie nate e maturate altrove. Dal punto di vista più strettamente storiografico, Ginzburg rinviene nella figura di Herzen la chiave di accesso al complesso e ambivalente rapporto tra Mazzini e Garibaldi. Un contrasto di metodo, quello fra i due; così lo ritenne il giovane studioso antifascista. Herzen avvertì sempre nel primo un’intransigenza ideologica (“un monaco medievale”, ebbe a definirlo), che nel secondo era mitigata dal “buon senso” e dalla duttilità proprio dell’uomo d’armi e d’azione.
Garibaldi, nell’attenta ricostruzione che Ginzburg compie grazie a lettere e documenti dell’epoca, fino allora sconosciuti, mostra sia un’acuta conoscenza di Mazzini, di cui afferma che “conosce l’Italia colta e ne signoreggia le coscienze” ma “gode d’avere insegnato ai suoi allievi a irritare il Piemonte”, sia la consapevolezza altrettanto profonda di come il popolo italiano cerchi anzitutto l’indipendenza dallo straniero non comprendendo a che pro scagliarsi “contro l’unico regno forte d’Italia”. Il riavvicinamento, sincero, fra i due avverrà solo a unificazione compiuta, e ad unirli sarà, una volta presa anche Roma, la comune critica alla carente, se non assente, politica sociale dei governi del regno. Su questo convergeva anche l’ultimo Herzen, artefice di quel riavvicinamento sancito nella sua dimora di Londra il 17 aprile 1864.
Scrive, in conclusione, lo stesso Ginzburg: “mancava ogni accenno a quella che già allora si chiamava ‘questione sociale’, a una libertà da cui scaturissero, prima dei diritti politici, la dignità e l’indipendenza per la classi umili, diseredate”. Nascevano così le premesse di quel mito del “Risorgimento tradito” che, elaborato lungo un percorso politico-culturale che va da Oriani a Missiroli a Gobetti, avrebbe attraversato fascismo e antifascismo, e che tanta influenza ha infine esercitato sulla cultura politica dell’Italia repubblicana, tra aspettative e frustrazioni, entusiasmi e risentimenti, depositandovi tracce profonde.
[una versione ridotta di questa recensione è uscita su “L’Indice dei libri del mese”, XXXII, n. 10, ottobre 2015, p. 21]
Risorgimento ed ideali dell’antifascismo. La figura luminosa di un eroe purissimo, resistente ante litteram, LEONE GINZBURG. E’ sinanche terrificante il rischio che evapori la memoria di uno straordinario e specialmente benemerito padre della Patria, come Gobetti, i più celebri f.lli Rosselli, tanti altri.
Pone riparo a questo, con la sua infaticabile prolificità, Danilo Breschi. Il valore altissimo della sua penetrante, insistita ricerca dei Penati, con ricordi che non concedono nulla alla agiografia, pennellati con mano sicura, non deve essere sottolineato. Custode inflessibile della nostra memoria storica. Gli siamo tutti debitori.
Grazie Danilo delle tue utilissime precisazioni. Nonostante abbia iniziato a studiare la Storia, con passione, da circa 35 anni, non avevo mai letto, né tantomeno pensato, che i valori risorgimentali potessero “nutrire” gli ideali dell’ Antifascismo. Entusiasmante…RISTUDIARE 🙂
Caro Danilo,
ti ringrazio vivamente delle interessanti notizie inviatemi a proposito di Leone Ginzburg. Si può essere antifascisti, antinazisti anche senza essere stati comunisti, anzi, ancor di più, perché il totalitarismo era comune ad antrambi.
Pannella parlò del fascismo degli antifascisti e per me aveva ragione.
Caro Breschi,
vedo (e leggo) il rischio che Ginzburg venga edulcorato. Non di soli, sia pure forti, valori risorgimentali si tratta. C’è un’opposizione ideale, di stile, verticale al fascismo e un impegno “vitale” per la libertà. Ginzburg fu un combattente intransigente, consapevole che ne andava della sua vita. Disposto ad accettare le conseguenze della sua azione culturale e politica.
Caro Professore,
come vede (e legge) dalla mia recensione rischi di “edulcorazione” non si corrono. O sbaglio?
Un caro saluto,
DB
Caro Prof. Breschi,
Una domanda: i legami tra antifascismo e risorgimento non si ritrovano anche nella storia del movimento azionista?
Ricordo e conservo ancora con gelosia quel bellissimo libro di Giovanni Del Luna “Storia del partito d’azione”.
Alessandro Innocenti
Ginzburg è infatti un padre nobile dell’azionismo, così come i fratelli Rosselli, in particolare Carlo. Tutti e tre uccisi dal fascismo e tutti e tre molto legati ai valori di libertà e di patria del Risorgimento, a cui aggiungevano un’idea di “giustizia” che, ancor prima che dal coevo socialismo, ricavavano dalla lezione di Mazzini.
Un caro saluto,
DB
Bravo Danillo.
Ginzburg is a person dear to my heart, having been especially moved by what Bobbio said about him in Maestri e compagni. It is interesting that G. Pintor, in his diary, seemed to have a special fascination, if not a problem, with Ginzburg’s “Jewishnes,” having gotten to know him during the early years of Einaudi. Unfortunately, all the ambiguities of G. Pintor, are also rooted in the cultural-moral inheritance of the Risorgimento.
Best,
Frank
Grazie Danilo per averci ricordato questa figura esemplare. Mi piacerebbe sapere di più riguardo alle idee risorgimentali che alimentano l’opposizione fascista, visto che dalla lettura di Emilio Gentile mi ero fatto una idea diversa, cioè di un fascismo che riprende il mito della Patria che ha radici ottocentesche.
Non sapevo del libro di Scurati, appena vengo in Italia me lo compro. Ho però guardato una sua intervista che mi sembra un po’ irrazionale. Da una parte dice che noi viviamo esistenze “grigie e meschinelle” (ma parla per te…), poi dice che dobbiamo essere grati a uomini come Ginzburg per le nostre esistenze mediocri. Un po’ mi è passata voglia di leggere questo libro, però se mi dici che è interessante mi fido. Un abbraccio
Caro Michele,
ci sono belle pagine nel libro di Scurati, come il brano che riporto nella recensione. Utile lettura per recuperare alcuni stralci di un clima storico e culturale per molti versi cruciale. Per il resto, il consiglio di lettura riguarda soprattutto certe pagine di Leone Ginzburg (Scritti, Einaudi 2000).
Un caro saluto a te e Nicole.
DB
Avendo io giurato la mia fedeltà allo Stato al momento della mia conferma in ruolo come insegnante, mi sono posto sempre il problema di che cosa avrei fatto in quella situazione e molte volte mi sono ritrovato nei TREDICI dei quali non può non essere ammirata la coerenza con la loro coscienza e la propria diversità culturale. Lo dice uno come me che non nutre simpatia verso certo antifascismo e che da cultore di storia patria comprende come il fascismo, nonostante le numerose contraddizioni, abbia affondato gran parte delle sue radici nel fertile humus storico, culturale e politico del Risorgimento.
Caro Francesco, da quel che ho capito del fascismo studiandolo credo che l’eredità risorgimentale sia stata da esso strumentalizzata, quindi traviata e infine snaturata. Il risultato, con il decisivo contributo della dinastia che aveva sostenuto in prima linea le lotte risorgimentali e l’unificazione politica, è stato “la morte della patria” e, con esso, dello Stato. Quel che era sopravvissuto dell’Italia liberale sotto il fascismo, pur appesantito dal plumbeo autoritarismo, è proseguito ancora qualche anno sotto la Repubblica, per poi esaurirsi, temo, definitivamente. Così che oggi, anno di grazia 2015, possiamo affermare che il progetto risorgimentale è fallito, e lo Stato italiano non gode più di una vasta e radicata legittimazione popolare.
Ma il discorso meriterebbe altro tempo e altro spazio.
Grazie comunque.
DB
Quella di Leone Ginzburg è una figura luminosa. E’ anche importante sottolineare il legame tra Antifascismo e Risorgimento. La propaganda di partito identifica l’Antifascismo con le democrazia. Ma non tutte le forze antifasciste erano democratiche, ma solo quelle che si richiamavano ai valori e alle idealità del Risorgimento.
Esatto, caro Prof. Catelani. Certi ideali risorgimentali vanno ristudiati, magari andrebbero anche riscoperti da una classe dirigente troppo appiattita sul presente, e spesso senza molto costrutto.
DB