Esplodersi dentro per ricomporsi anno dopo anno, frammento dopo frammento, scheggia dopo scheggia… conficcata una sull’altra, tra vene e cuore, per pulsare sangue e amore lassù, più su, ancora più su, fino a questa piramide di vetro e tendini, tesi a costruire un sogno di cattedrale imponente e fragile, come un’offerta di uomo, un sacrificio umano in tempi spolverati da ogni cosa in qualche maniera, o forma, divina… Un canto fermo in gola, che tanto vale tagliarla, questa gola, perché qualcosa almeno sgorghi, sbocchi fuori, come un bacio affamato che sbrana una preda mai così tanto amata, che chiede una morte congiunta, una copula che sia nascita di dolore così intenso da rovesciarsi in gioia, come canto di cigno… un rigurgito di antica, immemorabile preghiera da piantare in terra perché un giorno germogli e cresca e infine fiorisca alta in cielo, perché il cielo ne sia tutto ricoperto, invaso, esaurito e compiuto.
E la pioggia che d’improvviso cade lava l’anima, la pioggia scorre e se ne porta via brandelli da spargere nel mondo. A seminare nuovi mondi, da guardare sempre e comunque, dall’orlo… a rifiorire.