mangio di sabbia, berrei di mare

è come se dallo squarcio di una casa diruta
sbucasse un bambino dai grandi occhi cerchiati
e nella mano che porge tu trovassi un buco,
voragine di senso in cui cade, perduta, la fede
in un martirio che è danza sui vetri e non volo.
Avessi più amore per la sabbia che tiene te
e il passo di bimba cresciuta di sogno in sogno,
se l’avessi tu ed io berremmo mare come cicuta.

mangio di sabbia, berrei di mare – Versione audio:


A causa della sua monotonia e sconfinatezza, con nient’altro se non la cornice come sfondo, uno sente come se le proprie palpebre fossero state tagliate via
(Heinrich von Kleist)

Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare (1809-1810)

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2 pensieri su “mangio di sabbia, berrei di mare

  1. E il cerchio si chiude:’diruta, cicuta.’
    Una poesia di tormento, dove tutto è un vuoto: lo squarcio, il buco, la voragine, dove gli occhi cerchiati e la mano che tende sono una richiesta di aiuto. Una circolarità in cui si perde il senso della vita e la fede nella lotta, dove la danza sui vetri è l’annaspare tra la sabbia. Una circolarità in cui si inserisce un triangolo: tu, lei, la bimba, un triangolo bisognoso di amore e capace, attraverso di esso, di superare i veleni della vita.

  2. Caro Danilo
    “Voragine di senso”… E’ questa che ci circonda, camminiamo rasenti all’abîme, a questo abisso appunto. Senza senso eppure… Ci sentiamo in qualche modo colpevoli, sbandati e ci rammarichiamo di non avere più coraggio, che, se l’avessimo,servirebbe solo a partecipare più direttamente a questo dolore universale che ci avvolge senza possibilità alcuna se non di”mangiare di sabbia” e “bere mare e cicuta”. Ma già lo facciamo.
    “Danza sui vetri”: ho notato che spesso nelle tue poesie usi il materiale “vetro” che è una sostanza cinica, diabolica. Liscia e ghiaccia, pronta a spezzarsi con le sue terribili lance a raggiera. Se lo dovessi paragonare ad un animale, questo sarebbe una serpe, che anche l’Altissimo condannò a strisciare.
    Ben diverso dall’ambiguo specchio che io chiamo “il grande rivelatore”, il quale sotto un aspetto bonariamente realistico, mostra invece l’anima di chi lo contempla. La parte anche più nascosta, “quelle cose che non vorresti rivelare nemmeno a te stesso”, come diceva l’uomo del sottosuolo. In fondo il ritratto di Dorian, ch’egli teneva gelosamente nascosto,era invero uno specchio.
    E’ una bella poesia, smarrita, che guarda con “occhi cerchiati”. Così io la intendo, queste sono le sensazioni che mi provoca ed i pensieri che mi suscita e te lo volevo dire. Con affetto, Giancarlo

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