Tutto ebbe inizio nel tuo seno
in fermento per un recapito oscuro
un antico liuto il tuo corpo di meraviglie
non potevo che suonarlo come cosa sacra
guidato dalle tue stesse dita occhiute
vigilanti i miei squilibri sull’arco delle ciglia
non temere, è solo il troppo blu degli occhi,
annuncio di quella grande onda che attendevo
pensavo il mare mi restituisse l’immagine
non lo credevo un travaso di Dio
la sua accoglienza si spiega con l’arcano dell’acqua
mi fu detto: percorri il sentiero dei padri,
e a notti frugai tra cervelli fottuti da droghe
pesanti o leggere, è sempre merda
in cui affogano la più bella età fragile
prima che giunga una migliore età forte
è che ginocchia pronte a piegarsi cerca
la mala cricca degli avidi e dei furbi
il cinismo redime il cinismo deprime
non ho ancora deciso in un senso
ma la creazione non ama gli indugi
pretende ora l’atto che snoda,
così ho sciolto gli ormeggi:
che ne dici? è giunto il tempo
di richiamare gli spiriti esiliati?
A lungo mi ha compresso più l’attesa
della sua venuta, anzi
mi ha espanso, mi ha installato
nel centro esatto della vita.
Accadde così che a quattro zampe
cominciammo ad esplorare noi stessi
noi tre vorticosi a quattro zampe
in un girotondo di spiriti rinati
fino a fondersi nel nucleo, familiare,
antica parola tornata dall’esilio.
“Creatura” in D. Breschi, Cicatrici e altre incarnazioni, WIP, Bari 2015, pp. 19-20
Ringrazio Matteo Vecciarelli per la segnalazione del brano di Woodkid (nome d’arte di Yoann Lemoine).
che piacere, leggerti, Danilo! Grazie, in questa valle di lacrime, cosa rimane?
In Creatura, si accarezza questa “pena”, questo desiderio perduto, non per incuria personale, bensì per questo vento dissacrante che l’uomo “planetario, totale” (direbbe Fienkelkraut) ci costringe a subire in un mondo da day after.
L’uomo, come si intende dall’ultimo verso, è esiliato, non ha più un luogo, un topos, non solo fisico, ma neppure spirituale; ormai si parla di umanità indistinta, amnesica, strappata da ogni affetto familiare, dal suo passato. Umanità che disumanizza l’uomo. Ecco il perché dell’elegia, di questa mestizia appunto; è il tentativo di un ritorno al proprio nucleo originale, familiare, “di richiamare gli spiriti esiliati”. Si comprende quindi l’importanza della “cura (nel suo significato etimologico) del tempo per l’uomo, per ogni uomo che lotta per riacquistare la sua autenticità di persona. Solo così si potrà parlare di un’umanità nuova, fatta di esseri pensanti e non appartenenti ad una universale tastiera, che ti getta in quella trappola supertecnologica del web (credo voglia dire rete), con le sue maglie così strette da non potere uscire, per poter tornare finalmente ad essere liberi, liberi “in quella grande onda”.
Siamo creature, cioè create e Hannah Arendt ci invita ad una “gratitudine fondamentale per le poche cose elementari che ci sono invariabilmente date, come la vita stessa, l’esistenza dell’uomo e il mondo”, e ancora: “prendendo coscienza, come di una grazia straordinaria, del fatto che sono gli uomini e non l’uomo ad abitare la terra” (The burden of our time).
Appena uscirà il libro “Cicatrici e altre incarnazioni”, quello con le pagine, lo acquisterò volentieri, ma che non sia formato kindle.
Caro amico Danilo, ci vedremo quando vuoi.
Ciao, Giancarlo