Nel 1954, esattamente sessant’anni fa, nasceva negli Stati Uniti d’America il rock ’n’ roll. Era, ed è, una fusione sonora e ritmica di blues, jazz, gospel, rythm and blues, musica country e, in misura minore, folk. Sarà proprio nato nel 1954? Ovviamente la discussione su una simile nascita suscita controversie tra addetti ai lavori e non. Controversie che non avranno mai fine. Ed è anche giusto così. Sarebbe infatti più corretto limitarsi a dire che è nato tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, sicuramente nel sud degli Stati Uniti, dall’incontro delle diverse tradizioni musicali degli emigranti di origine africana ed europea. Figlio del meticciato, sofferto, risorto. A noi però piace sfruttare il fatto che assumere la data del 1954 ci consente di fare cifra tonda e di celebrare un anniversario pieno. Come pezza d’appoggio possiamo citare l’autorevole rivista “Rolling Stone”, la quale ha sostenuto nel 2004 che That’s All Right (Mama) di Elvis Presley, disco del 1954 ed il primo ed unico registrato dal cantante per la Sun Records di Memphis, è stato il primo album rock ‘n’ roll. Sempre del 1954 la rivista ricorda anche Shake, Rattle & Roll di Big Joe Turner, canzone che mutò in modo irreversibile la nozione di musica popolare. Dalla metà degli anni Sessanta tale genere si evolse in quello stile più generico ed internazionale ancora noto semplicemente come “musica rock”, senza altre aggiunte. Ma la genesi è lì, nell’immediato secondo dopoguerra, e ad essa sempre il rock, quello vero, ritorna per rigenerarsi, pur assorbendo i tempi nuovi che di volta in volta si succedono.
Dunque Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Little Richard e dintorni. Ne consegue che il rock è roba da maschi? Sì, ma non solo. Ci sono certe incarnazioni femminili tali da far impallidire e infragilire i più granitici rocker. Volete un esempio incarnato di donna-rock, tutta energia elettrica e personalità sovraesposta, al limite della melancolia e dell’autodistruzione, limite mai varcato (per sua e nostra fortuna!)?
Ascoltate e guardate Chrissie Hynde, classe 1951, e gustatela come un’ottima annata di buon vino rosso, graffiante al primo sorso, e poi dal retrogusto vellutato. Qui il testo di una canzone, firmata assieme a James Honeyman-Scott e prodotta da Chris Thomas. È la celebre Brass in Pocket (1979). Fu il primo successo della sua band, The Pretenders, gruppo di lì a poco travolto dal successo e dall’eccesso tanto da vedere nel giro di due anni morire sia il bassista (nel 1982) sia il chitarrista (nel 1983), entrambi per overdose. Ma la donna rock regge e resiste, si rigenera dalle proprie ceneri, sorta di araba fenice.
Got brass in pocket
Got bottle, I’m gonna use it
Intention I feel inventive
Gonna make you, make you, make you notice
Got motion, restrained emotion
Been driving uh, Detroit leaning
No reason, just seems so pleasing
Gonna make you, make you, make you notice
Gonna use my arms
Gonna use my legs
Gonna use my style
Gonna use my side step
Gonna use my fingers
Gonna use my, my, my, imagination
‘Cause I going make you see
There’s nobody else here, no one like me
I’m special, so special
I got to have some of your attention, give it to me!
Got rhythm, I can’t miss a beat
Got a new skank, so reet
Got something, I’m winking at you
Gonna make you, make you, make you notice
Gonna use my arms
Gonna use my legs
Gonna use style
Gonna use my side step
Gonna use my fingers, gon’ use my, my, my imagination
Oh, ‘cause I gonna make you see
There’s nobody else here, no one like me
I’m special, so special
I got to have some of your attention, give it to me!
‘Cause I gonna make you see
There’s nobody else here, no one like me
I’m special, so special
I got to have some of your attention, give it to me!
Oh, when you walk
Chrissie, mangiatrice di uomini? Spavalda sì, ma nemmeno troppo (questione di dignità e di stile); mangiatrice di uomini, no! Troppo libera e intelligente, troppo poco religiosa, poi, per essere una mantide. Perché anche questa, sia pure in veste di carnefice, finisce in qualche modo per dipendere dal maschio. Ogni carnefice ha sempre bisogno di una vittima, pena una traumatizzante perdita di identità. Così pure la mantide religiosa. Non Chrissie in Brass in Pocket. Parole, musica e voce che messe insieme cantano di come e quanto una donna-rock possa sedurre. Con braccia, gambe, andatura, dita e tanta tanta immaginazione…:
C’è una constatazione immediata per chi osservi nel tempo la donna rock: non invecchia, e se invecchia è solo per diventare più bella. E chi può dimostrarlo meglio della vera ed unica regina del rock: Anna Mae Bullock, meglio nota col nome di Tina Turner. Senza alcun dubbio Tina è la più ferina, la più felina. Una pantera. Ammiratela esibirsi sul palco, sin dalle prime apparizioni assieme al marito Ike. Ogni suo passo su tacchi vertiginosi trafigge e percuote il palco. Può sembrare volutamente, ironicamente goffa, ma più precisamente è solo e soltanto se stessa abbandonata al rock che solo se accolto puoi possedere. Dunque, più precisamente: selvaggia. Semplicemente selvaggia. Lo spirito animale che vibra attraverso una donna che è naturalmente, istintivamente rock. Cos’altro aggiungere quando la si guarda e la si ascolta interpretare Proud Mary, canzone scritta nel 1969 da John Fogerty, cantante e chitarrista dei Creedence Clearwater Revival. Tina l’ha però resa immortale, perché lei le ha dato anima e passione rock, l’ha iniziata “nice” e l’ha conclusa “rough”. E mai, mai “easy”.
Y’ know, every now and then
I think you might like to hear something from us
Nice and easy
But there’s just one thing
You see we never ever do nothing
Nice and easy
We always do it nice and rough
So we’re gonna take the beginning of this song
And do it easy
Then we’re gonna do the finish rough
This is the way we do “proud mary”
And we’re rolling, rolling, rolling on the river
Listen to the story
I left a good job in the city
Working for the man every night and day
And I never lost one minute of sleeping
Worrying ‘bout the way things might have been
Big wheel keep on turning
Proud Mary keep on burning
And we’re rolling, rolling
Rolling on the river
Cleaned a lot of plates in Memphis
Pumped a lot of tane down in New Orleans
But I never saw the good side of the city
Till I hitched a ride on a riverboat queen
Big wheel keep on turning
Proud Mary keep on burning
And we’re rolling, rolling
Rolling on the river
If you come down to the river
I bet you gonna find some people who live
You don’t have to worry if you got no money
People on the river are happy to give.
Nel 1971 i coniugi Turner fanno loro questa canzone. Qui sotto vi è forse la versione più potente, la prima. Ma potete guardarne qualsiasi, fino ai giorni nostri. Tanto la donna rock non declina, cresce. In quella performance del 1971 si trova molto più di quel che si direbbe “rough”.
Avete presente le Baccanti della mitologia greca? Erano dette anche Menadi, e con questo termine si è soliti riferirsi alle creature mitologiche devote a Dioniso, dio della forza vitale. Al di là della mitologia e della più tarda tragedia di Euripide, è storicamente accertato che esistessero nella Grecia anteriore al V secolo a.C. donne che si riunivano in gruppi, detti tiasi, e ad anni alterni si radunassero sulle montagne per celebrare i rituali dionisiaci, tra cui fare a pezzi animali con l’uso delle proprie mani e mangiarne le carni crude. Si parlava di una follia indotta dal dio, ma secondo alcuni studiosi si trattava molto probabilmente di un modo per affermare, sia pure temporaneamente e fuori dalla città nonché in modo surrogato e fittizio, la propria autonomia e liberare personalità represse da una società maschilista e misogina.
Ebbene, guardate il videoclip qui sotto e vedrete che le Baccanti son tornate. Loro è il palco, loro la scena. Nel rock, grazie al rock. E Tina Turner è la loro guida.
Menadi in greco vuol dire “esser furenti”. Ma non si tratta di una frenesia qualsiasi. È un’ebbrezza molto speciale, è l’invasamento divino, quel che i Greci chiamavano “entusiasmo”. La danza estatica, che solo nella donna può raggiungere la vertigine assoluta, conduce alla compenetrazione con il dio, e la donna si fa ἔνϑεος, en Theos. Estasi ed entusiasmo. L’essenza del rock. Una sacralità pagana che torna a suon di chitarre elettriche e percussioni martellanti. Guardate il videoclip, la danza delle coriste e ascoltate la voce di Tina. Vedrete che Dioniso è lì, tra loro con loro dentro loro.
Grazie a Tina, Dioniso è donna e femmina, come la musica, la voce, la danza, la manìa che è, come scrive Platone nel Fedro, “follia divina”. Se son le Muse a possederti, la follia si fa invasamento poetico. Profetico se ti penetra e pervade Apollo, misterico se è Dioniso, erotico se sono, insieme, Afrodite ed Eros. Quest’ultimo, com’è noto, è il dio dell’amore fisico e del desiderio. È il principio divino che spinge verso la bellezza. Ti accende e ti fa tendere come un arco e tu diventi al contempo la freccia che chiede di essere scoccata. La bellezza è la sua mèta.
Ebbene il rock, musica di fusione, fonde le quattro forme di invasamento descritte da Platone nel Fedro. Dove anche dice della manìa: “colui che senza un siffatto furore picchia all’uscio delle Muse, persuaso che basti l’arte a renderlo poeta, non conseguirà l’intento, e la poesia di chi ragiona sarà eclissata da quella di chi delira” (244d). Un delirio rituale, sia ben chiaro. E più che di un delirio si dovrà parlare di una espressione del vitale in quanto tale. Una messa in moto del corpo, una sua liberazione che non entri in cortocircuito con la mente, ma stimoli la nostra presa d’atto che “la mente è il corpo relazionato”, come ha scritto di recente Salvatore Natoli. Presa d’atto che “padroneggiamo il nostro corpo quanto più sperimentiamo la vita, perché se il corpo è la vita, noi ci realizziamo nell’arricchimento di questa, di una vita che è un grande gioco di apertura e di chiusura” (Le verità del corpo, 2012).
Di questa acquisizione di consapevolezza possono essere occasione il miglior rock, così come i vertici di altri generi, in primis della musica classica. Forse solo l’opera lirica eguaglia certo rock, quanto a possibilità per la donna di liberare il femminile che è in lei ai massimi livelli espressivi e creativi. E forse non vi riesce nemmeno del tutto nella lirica se teniamo conto anche dell’autonomia espressiva, cioè della libertà d’improvvisare e dell’adozione di codici del tutto extra-maschili o non completamente graditi da molti maschi.
Tina è la più grande donna rock, almeno tra quelle il cui rock è sempre stato energia e sorgente di una grinta con la quale fronteggiare e infine sconfiggere i demoni di volta in volta incarnatisi nelle loro vite, sia i demoni interni sia quelli esterni. Come nel caso della dolce e grintosa Tina il cui demone temporaneo fu probabilmente quell’Ike la cui calda voce ascolterete in sottofondo nella prima versione di Proud Mary. Poi ascoltate anche un paio di versioni di un altro brano travolgente, Nutbush City Limits. Anche in coppia con Cher, a cantare e ballare questo ed altri brani.
Non ci si stanca mai di ascoltarla ed ammirarla, Tina. E così anche Chrissie. E molte altre ancora. Le Baccanti sul palco. Ben venga questa appropriazione, del tutto debita, della scena, ben vengano queste donne rock. Siano loro le padrone assolute. Non può essere altrimenti. Diritto divino per canto e danza divinatorie.
Benvenuta Chrissie. Benvenuta Tina. E Janis Joplin ed altre ancora. Il rock scorre prepotente e inarrestabile nelle vostre vene, agita i vostri fianchi, elettrizza le vostre e le nostre anime. Gioia pura su questa terra. Grazie a donne come voi. Lodata, sempre sia lodata, la donna rock!