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Una rabbia intravenosa per la Sacra Cerca

Jose Benlliure y Gil, La Barca de Caronte (1919)

un occhio che scruta
dentro il tuo cranio
sarebbe una bella dotazione
per l’età nera che mi aspetta
al varco di ogni età chiara
sgattaiolare su e giù
lungo i tuoi tubi oculari
per vedere come mi vedi
rischio alto, dilatazione certa
della tua pupilla al contatto
con la mia iride di sogni dopata
per tenermi su in questa carovana
di anime che si incurvano ancor prima
che ad ogni strettoia il destino le conduca
come un Caronte noleggiato a rate,
ché l’inferno è chiuso per ferie.

Ecco perché arrischio la pelle
in questo viaggio intracorporeo,
non voglio bruciarmi per le fiamme
salite al pianterreno del mondo.

Meglio dissolvermi nel tuo sangue,
disciogliermi però nelle lacrime che secerni
vuol dire abbandonarti presto per evacuazione
forzata dai troppi pianti
con cui omaggi l’inferno asceso
senza sapere dell’astuzia del diavolo
ironico guastatore dei cuori più teneri.

Allora infine vada per la saliva,
così riesco pure a baciarti
mentre mi mastichi un poco

ed evviva! mi sputi via come un rospo
sopportato troppo in gola, e gratis

ora posso dirlo, però:
ad intasarti non ero io
microcosmonauta insolente ed amoroso
ma la tua fibrillazione affettiva
un ticchettìo che mi rese rabbioso
come uno sfollato nottetempo

e a terremotarmi non fu la natura
solo l’ennesimo umano fastidio convivente

eppure, come sempre, è per strada che accade
come fu l’incontro improvviso e benedetto
con valchiria disarmata e tanto di marsupio,
ovvero una mamma con bambino in florido petto

e subito credo possibile una natività che redima
una però ancor mai raccontata prima.

Non amo infatti le storie ingiallite
che rendono questi miei fogli smarriti
buoni solo per l’incarto e la conserva,
proprio ora che ogni gesto va rifondato

io cerco vita dove tutto vi congiura contro.

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