Vorrei tornare su alcune osservazioni proposte da Danilo Breschi nella sua recensione al volume da me curato: Utopia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica (il Mulino, Bologna 2013). Nel ricordare la distinzione di Karl Mannheim tra ideologia e utopia non intendevo connotare la seconda come assolutamente positiva, solo perché portatrice di istanze volte alla trasformazione radicale dell’ordine dato. Al contrario, in più passaggi ho cercato di sottolineare che in molti casi, nel corso della storia, le utopie rivoluzionarie o presunte tali si sono trasformate in distopie, come il Novecento ci ha abbondantemente mostrato con la tragica esperienza dei totalitarismi.
Ciò che mi premeva sottolineare è che, nonostante la sua ambiguità e la sua ambivalenza intrinseca, il concetto di utopia non può essere rifiutato tout court. L’utopia, infatti, può essere intesa come l’espressione di una delle caratteristiche fondanti dell’esistenza umana, la possibilità cioè di pensare una realtà altra rispetto a quella esistente (la letteratura è la rappresentazione plastica di questa istanza): si tratta di esercitare la propria libertà non per modificare il reale alla luce di un modello di perfezione verso cui tendere, ma perché lo si considera sempre provvisorio in linea di principio.
È quindi la dimensione progettuale dell’utopia che, a mio parere, dovrebbe essere recuperata da parte di una riflessione filosofica e politica che guardi al mondo non con le lenti della necessità, ma con quelle della libertà e della contingenza. Una progettualità innovativa e non dogmatica, capace di evitare tanto una giustificazione dell’esistente quanto una sua critica senza riserve, che condurrebbe a esiti nichilistici.
Carlo Altini
Direttore scientifico Fondazione Collegio San Carlo di Modena