c’è quel che assolve, e quel che distrugge
anche se sei innocente dichiarato, non conta
c’è il tribunale che t’hanno installato di notte,
ai primi vagiti, i mortali d’accordo con gli dèi
c’è l’essere diurno, e io che son notturno
c’è la tua chioma di fuoco intravista tra la folla
quelle cosce che aprono varchi nelle coscienze,
ma poiché a sentirsi in colpa si fa sempre in tempo
sai che delinquo volentieri, e ti amo pure di giorno
c’è l’essere diurno, e io che son notturno
ricordati sempre più di fare i conti con la morte
non la tua, ma quella di chi a te è più caro,
ricordati come travolge il calendario di ciascuno
ti spacca in due il tempo, il prima e il dopo
c’è l’essere diurno, e io che son notturno
in questa broda primordiale cui vorrebbe ridurmi
la casta dei benpensanti dalle morali biforcute
scodello un progetto di società minima, in due
sì, che bastiamo in due, l’ho letto sui manuali
c’è l’essere diurno, e io che son notturno
e così mi ricordo bene cosa congegnai ventenne
una terra che immagino distesa su glicini in fiore
e dal brodo passeremo a bere gli occhi violacei
di ninfe e fauni, in un’orgia di anime spiritose
c’è l’essere diurno, e noi che siamo al di là
proprio noi, i primi coloni dell’eterno abbandono.
[da Cicatrici e altre incarnazioni, WIP Edizioni, Bari 2015, pp. 57-58]
La terra dell’abbandono – Versione audio: