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Con Renzi segretario, la rivincita di Craxi

Strani casi della vita, anche nella politica italiana. Molti si sono sprecati nel dire quanto fosse ironico e paradossale che con la probabile vittoria di Matteo Renzi alla segreteria del Pd si sarebbe avuto un democristiano alla guida del maggiore partito della sinistra italiana di oggi, in qualche misura erede anche di quel che fu il Pci. Niente di più sbagliato. Se ci riferiamo ad Enrico Letta, l’osservazione è indubbiamente più pertinente. Non solo per questioni di anagrafe, visto che il quarantasettenne Letta ha avuto modo di militare, sia pur da giovanissimo, nelle file della Dc (fra l’altro, presidente dei Giovani democristiani europei tra il 1991 e il 1995), ma anche per questioni di stile e di contenuto politico. Letta è un democristiano moderatamente di sinistra, e secondo questa linea centrista sta connotando la sua attuale guida del governo.

Con l’elezione di Renzi alla segreteria del Partito Democratico abbiamo invece la rivincita di Bettino Craxi. Ebbene, sì, del “Cinghialone”, così come venne per alcuni anni spregiativamente chiamato il segretario socialista. In che senso? Ovviamente, la distanza tra Renzi e Craxi è lampante, sotto tutti i punti di vista. C’è però un senso profondo in quanto accaduto ieri con l’elezione quasi plebiscitaria del nuovo segretario del Pd. Per chi ha avuto modo di ascoltare il discorso della vittoria, rivolto dall’Obihall di Firenze ai sostenitori del suo comitato elettorale per le primarie, Renzi ha ribadito temi e slogan che prefigurano una vera e propria “rivoluzione culturale” dentro la sinistra italiana. Ha attaccato il massimalismo ed elogiato il riformismo, di cui ha detto bisogna far capire, anzitutto ai “nostri”, cioè ai militanti e agli elettori tradizionalmente di sinistra, che si può essere riformisti “senza essere noiosi”. Che fare le cose con gradualità ma anche radicalità, secondo però il buon senso e non la coerenza ideologica, è azione “di sinistra”. Ha detto che si può e si deve criticare il sindacato quando esso si presenta come conservatore e non riformista. Ha elogiato il merito e ciò che lo riconosce e promuove, ossia una libera concorrenza che conservi un’eguaglianza dei punti di partenza e delle opportunità.

Insomma, perché con Renzi alla guida del Pd, Craxi avrebbe avuto una rivincita? Perché il segretario socialista, al di là del concreto e finale esito della sua parabola politica, ebbe sin dall’inizio della propria avventura alla guida del Psi la volontà di ribaltare i rapporti di forza dentro la sinistra. Far prevalere i riformisti sui massimalisti, allontanare sempre più la cultura socialista dal comunismo e avvicinarla sempre più al liberalismo. Rendere la sinistra sinonimo di modernità e modernizzazione, culto di un progresso da tradursi con l’elogio anche di un capitalismo ben temperato, attento all’equità sociale, ma non snaturato nel suo essere un meccanismo che vede nel libero mercato il selezionatore di meriti e capacità. Renzi l’ha detto subito dopo la vittoria alle primarie: prima di ridistribuirla, bisogna crearla la ricchezza. Investire su istruzione e ricerca, ma anche su una drastica riduzione delle tasse. E rimuovendo anche vincoli che certo sindacalismo ha posto. Così ha parlato, ora esplicitamente ora tra le righe, il nuovo segretario del maggior partito della sinistra italiana.

La novità non è di poco conto. Si dice che la vittoria di Renzi produrrà effetti anche a destra. È probabile, o forse no, ma si dimentica di dire che ne sta già adesso producendo di enormi a sinistra. A patto che continui a dire quel che dice, e soprattutto cominci a fare quel che dice. Le conseguenze dentro il Pd sono ancora tutte da verificare, e si cominceranno a manifestare ben presto, appena ci si sarà resi conto di quale corpo “estraneo” l’erede del Pci si sia messo dentro. Già l’evoluzione da Pds a Ds a Pd aveva comportato una crescente incorporazione della cultura cattolica sociale, ma ciò non aveva alterato in profondità una tradizione politico-culturale, quale quella del comunismo italiano berlingueriano e post-berlingueriano, che del “compromesso storico” tra Pci e Dc aveva fatto qualcosa di più di una scelta tattico-parlamentare. Adesso, con Renzi, se continua a dire e a voler fare quanto ribadito ieri all’Obihall di Firenze, dentro la sinistra italiana è giunto infine il liberalismo. “Di sinistra”, per carità. Però ciò che di fatto si imputava, da sinistra appunto, al Psi craxiano è oggi accaduto per quello che, sia pur “per li rami”, è il discendente, anche e soprattutto, del Pci berlingueriano. Cosa si imputava? Essere passati tra le fila del nemico storico: il liberalismo, appunto.

Chi avesse ascoltato Renzi ieri sera dopo la vittoria alle primarie, avrà avuto la sensazione che, se non fosse stato per l’uso della parola “sinistra” (per dire che non deve esser più quel che è stata finora), sembrava di assistere alla convention del nuovo centrodestra, quel che Angelino Alfano non sarà mai in grado di creare. Che confusione sotto il cielo della politica italiana! “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, diceva Mao Tse-tung, il Grande Timoniere del comunismo cinese ed orientale. Senz’altro ne vedremo delle belle nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e le scintille si sprecheranno dentro e dintorno al Pd e alla sinistra tutta. Se Renzi premerà l’acceleratore sui punti programmatici, politici e ancor prima culturali, evidenziati anche ieri sera all’Obihall, non sarà facile mantenere quel che tutti i principali esponenti e osservatori del Pd hanno ripetuto con forza e nettezza: e cioè che l’unità del partito non è in discussione. Non ci metterei la mano sul fuoco, se Renzi continuerà a voler fare il Tony Blair della sinistra italiana. Dopotutto, non siamo inglesi.