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Joker, involontario eroe populista?

Qualche rapida considerazione sul film Joker uscito in questi giorni nelle sale italiane dopo il successo ottenuto alla 76ª Mostra del cinema di Venezia, che lo ha premiato con il Leone d’oro.
Si tratta di un film sulla genesi del più irriducibile nemico di Batman, sul come è diventato un criminale. La rilettura del tutto inedita del Joker produce inevitabilmente un ripensamento anche della figura di Batman, del suo ruolo, della sua funzione nella società di Gotham City. Ma procediamo con ordine.
La prima considerazione che emerge dalla visione del film è la distinzione tra malato e malvagio. Joker prima di diventare tale è un anonimo Arthur Fleck, individuo alienato con forti disturbi psicotici che a mala pena mantiene in precarissimo equilibrio attraverso l’assunzione di ben sette diversi psicofarmaci e una seduta settimanale presso una depressa assistente sociale fornita dal servizio sanitario pubblico (che verrà poi bruscamente tagliato per improvvisa mancanza di fondi). Arthur vive con l’anziana madre Penny nei bassifondi della città, in un palazzo che ricorda un po’ un carcere, un po’ certe strutture fatiscenti post-apocalittiche di 1997: Fuga da New York di Carpenter (tra parentesi: film del 1981, stesso anno in cui si ambienta questo Joker) e un po’ l’Overlook Hotel dello Shining di Kubrick.
Arthur sogna di diventare un cabarettista famoso, acclamato dalle folle televisive. Nel frattempo sbarca il lunario come clown per una ditta che lo manda a far pubblicità per negozi oppure presso gli ospedali pediatrici come una sorta di Patch Adams. Non è dunque un cattivo di natura, ma solo un malato che cerca aiuto in ogni modo, e in ogni dove.
La società di Gotham City è lacerata da profonde e crescenti diseguaglianze sociali, da un’élite politica ed economica sempre più distante dalla gente comune, un’élite che disprezza il popolo, anche quando si tratta di persone autorevoli e pubblicamente rispettate come imprenditori illuminati e mecenati (tra cui Thomas Wayne, il padre di Bruce, il futuro Batman). Talmente malmessa questa società che non può curarsi di uno come Arthur, e di tantissimi altri come lui. Una società molto hobbesiana, che stimola tutti ad essere lupi mannari gli uni con gli altri. ma anche una società corrotta fin nelle midolla, tenuta a mala pena assieme da una legge sempre meno uguale, generale ed astratta. Comandano i ricchi, insomma.
Dunque è la società ad essere malvagia. È la società che renderà malvagio il malato Arthur. Lo trasformerà in Joker. E fin qui la filosofia che anima la prima parte del film non entusiasma. Hobbes da una parte, Rousseau dall’altra. Uomini buoni, istituzioni cattive. Comandano gli ipocriti, subiscono gli ingenui. Oppure: tutti cattivi, nessuno innocente, se non forse il futuro criminale dei criminali. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. In parte è così. C’è però una torsione a metà del film, e c’è soprattutto il contesto storico in cui questo film appare. Contesto odierno, intendo: statunitense, europeo, occidentale insomma.

Senza anticipare nulla del prosieguo della trama, accenno solo al fatto che la personale crisi di Arthur, la sua malattia mentale, intercetta la rabbia che cova tra i ceti meno abbienti, che cresce di anno in anno, mai arrestata e anzi inconsapevolmente alimentata, presso ceti medi sempre più impoveriti. Risentimento che predispone alla cattiveria, a rispondere con la violenza ad una società che viene lasciata scivolare nella violenza, sempre più gratuita (vedi l’episodio dei ragazzini e del pestaggio con cui si apre il film). Insomma, assistiamo a due disagi che si incontrano, come la miccia detonante che s’innesta in una massa di esplosivo. L’alienato che diventa, suo malgrado, il leader carismatico della società del rancore (di cui il Censis, venendo all’Italia, ha parlato nel suo Rapporto 2018 e su cui il suo direttore ha da poco pubblicato un libro).
A questo punto la rabbia sociale s’identifica con la violenza omicida del disturbato psicotico, peraltro scatenata dall’arroganza e dalla prepotenza di giovanotti yuppie, giacca, cravatta, alcol e droghe. Colpendo l’élite che sta bellamente tradendo la democrazia, il Joker diventa qualcosa di molto simile ad un eroe. È una sorta di eroe populista che, con la propria schizofrenia (peraltro – così pare – generata da un’infanzia maltratta, violentata), consente ad un disagio sociale fin lì disarticolato di aggregarsi rapidamente e diventare movimento, protesta di massa (peraltro con maschere, e qui c’è tutta l’ironia della storia per le assonanze con le tragiche vicende che in queste settimane stanno travagliando Hong Kong).
La società, coloro che la rappresentano nelle istituzioni ai vari livelli, dal più basso al più alto, si sono mostrati così sordi alle sofferenze e alle richieste d’aiuto che anche uno psicotico criminale risulta infine simpatico allo spettatore del film e credibile punto di riferimento, dentro la trama del film, per cittadini inascoltati e abbandonati. Due crisi abbandoniche, quella di Arthur e quella della cittadinanza comune di Gotham City, che si abbracciano tra le fiamme della rivolta urbana.
A questo punto il problema passa a Bruce Wayne. Dove trovare legittimità alla propria scelta di combattere il crimine, quella che lo porterà a vestire i panni di Batman? Si tratterà solo di vendetta personale, anche qui trasformata in giustizia a vantaggio dei più deboli? Già Christopher Nolan aveva saputo ben cogliere il lato oscuro dell’uomo pipistrello, ma dopo questo Joker la figura del cavaliere nero andrà comunque ripensata ancora. E, su un piano politologico, se una società scardinata legittima, o comunque offre argomenti potenti, di grande efficacia persuasiva, ad una rivolta illegale violenta e selvaggia, cosa dovrà fare chi vuole la rule of law liberal-costituzionale senza per questo conservare un esistente profondamente corrotto? Come riequilibrare uno squilibrio sociale che fornisce possenti e radicate ragioni ad un irrazionale che può ritrovarsi a cavalcare una massa di tante piccole ragionevoli eruzioni d’irragionevolezza? Oppure la storia dei supereroi è solo una lunga catena di vendette personali, un po’ come per gli dèi nell’antica mitologia greca? Ed è pure così per la storia di noi comuni mortali?