In occasione dei 50 anni dalla morte del grande scrittore nipponico, Danilo Breschi ripercorre il pensiero e l’azione della multiforme anima di Mishima, con una suggestiva monografia che attraversa il copioso corpus narrativo e saggistico, cercando di decifrarne la coerenza di un enigma.
ANTONIO MIREDI
Per capire meglio la spinta che anima il testo critico di Danilo Breschi, che ruota attorno alla figura di Yukio Mishima, bisogna partire dalla citazione dello scrittore colombiano Nicolas Gomes Davila: «Amare è fare la ronda senza posa intorno all’imprendibilità di un essere». Per quanto il libro sia uscito come novità editoriale in occasione di un tondo anniversario, il cinquantesimo dalla morte con suicidio rituale alla maniera degli antichi samurai giapponesi, a muoverlo è innanzitutto un omaggio-passione verso uno scrittore a tratti controverso ma fondamentalmente controcorrente e lucidamente profondo nelle sue analisi, spesso taglienti come un bisturi chirurgico. E, accanto a questo omaggio, una vigile attenzione pronta a scrutare e individuare nessi, pulsioni, rimandi logici e analogici. Il titolo della monografia – Yukio Mishima. Enigma in cinque atti – riecheggia quello di un premiato film di Paul Schrader del 1985, con le musiche calzanti di Philip Glass, Mishima – Una vita in quattro capitoli, e in effetti, pur operando una sorta di viaggio lungo il percorso mishimiano, Danilo Breschi utilizza nel suo testo una ritualità di passaggi dove gli “atti” assumono la pregnanza di laiche stazioni misteriche.
Non è casuale l’aver aperto il libro, capovolgendo l’ordine cronologico biografico e narrativo, con gli ultimi momenti dello scrittore e con la focalizzazione del suicidio come atto di devozione imperiale e plateale cruenta protesta contro un Giappone ormai irrimediabilmente votato all’americanizzazione consumistica, che tradisce gli antichi ideali e valori di un codice orientale millenario. L’epilogo si presenta come prologo così come il prologo si presenta come epilogo in un perfetto cerchio esistenziale e narrativo che ha tutto il simbolo di un Uroboro, il serpente che si morde la coda nella rappresentazione di un eterno ritorno filosofico ed esistenziale. Immagine tanto cara al filosofo tedesco dell’Oltreuomo, Friedrich Nietzsche, una delle figure più amate e ricorrenti nella narrativa e nell’analisi di Mishima, accanto a Kierkegaard, Dostoevskij, Rilke, Camus e molti altri, tutti accomunati da una forte problematica compenetrazione di vita e opera, che in Mishima si traduce soprattutto in scrittura e azione. Tutti autori profondamente occidentali che hanno vissuto ed esperimentato la crisi della stessa cultura occidentale e che potevano servire da specchio all’indomito spirito di Mishima di fronte alla crisi di una coscienza nazionale.
Danilo Breschi fa parlare nel suo libro molto queste figure, attraverso citazioni e relativi riconsiderazioni dello scrittore per meglio comprendere e far emergere tutta la complessità di un pensiero critico che non annulla tuttavia la profonda originalità di forma e contenuto. Elemento che spiega come Mishima sia scrittore capace di affascinare e avvicinare generazioni vecchie e nuove. Fino a renderlo anche una figura manieristicamente fissata in un santino-eroe da parte di chi ama più strumentalizzarlo che leggerlo nella sua sterminata e fertile produzione. Un intento apertamente confessato da Danilo Breschi, nella sua Avvertenza, è proprio quello di liberarlo da questo rischio.
Come scrive fin da subito Breschi, «Mishima è un autore sovente vittima dell’immagine stereotipata che egli stesso ha contribuito a costruire, tramutando un’opera letteraria di altissima levatura in un’icona pop tutta immagine e nessuna o poca sostanza». Contro questo rischio il pregio del libro è allora un rigore filologico di una esplorazione che sa attraversare i diversi bordi narrativi e performanti dell’artista, cogliendone sovente le reali o le apparenti contraddizioni. Un rigore che non trascura l’uso pertinente di citazioni, rimandi paralleli ad altri autori, e ampi stralci della scrittura di Mishima. Anche il debordante uso delle note a piè di pagina in cui si annida una variegata e appassionante bibliografia, sono la dimostrazione di una accurata ricerca e precisa lettura di elevata cultura professionale, senza tuttavia rendere il testo monografico un pedante prodotto accademico.
Breschi coglie in maniera coinvolgente quel vertiginoso equilibrio di piacevolezza di stile e profondità di contenuto che Mishima ha saputo al massimo rappresentare con la sua prosa nitida, cristallina, apparentemente leggera ma in continua tensione nervosa di prova con se stesso, fino alla scelta finale in cui l’Azione sembra uccidere la stessa Letteratura quando appare limitante e senza un suo sbocco veramente assoluto. Un esercizio di stile quello di Danilo Breschi che ci appare anche una prova di scrittura pronta magari a tradursi in una sua prossima autonoma opera squisitamente narrativa. Per tornare alla monografia, come viene risolto l’enigma a cui si allude nel titolo del libro?
Breschi lo chiarisce all’inizio e man mano che il suo viaggio rituale procede è già manifesto in quella lucida citazione di Nicolás Gómez Dávila. Un enigma attorno ad un uomo ed artista, non può mai sciogliersi in una verità chiarita una volta per tutte, data l’imprevedibilità di un essere. L’enigma è piuttosto una circumnavigata e sollecita interpretazione di un’altra interpretazione, seppure formulata come assioma. Creativa necessità di ogni vera e sorgiva scrittura capace di scatenare altra scrittura. Così come un lettore si sente creativamente sollecitato a specchiare le proprie interpretazioni. Nel caso del libro di Danilo Breschi il lettore riesce a godere della continua esplorazione capace di inabissarsi negli abissi e innalzarsi a quelle vette della scrittura mishimiana, a patto che il lettore sia attento e allenato nell’uso e nel riconoscimento dei codici testuali di riferimento e di quelli più sotto traccia. Un libro miniera preziosa per ogni studioso di Mishima e per ogni curioso che sappia e voglia poi approfondire tutta la variegata opera di uno scrittore che ha amato cimentarsi con i più disparati e moderni mezzi espressivi. Ed è proprio questa modernità nell’andare oltre la stessa modernità che rivela quella collisione che di sicuro ha vissuto l’uomo e l’artista Mishima, pronta a scontrarsi «con il medioevo più feudale, gerarchico e guerriero». Questa collisione che in Mishima è sembrata risolversi nel gesto estremo del seppuku, Danilo Breschi non la coglie borghesemente come scandalo ideologico e fanatico, anzi lo scandalo è quella cifra più penetrante e metaforica in grado di colpire come una freccia ogni conformismo borghese e pigrizia di pensiero, pur mantenendo un nucleo di nichilismo. Una idea da condividere in pieno.
[articolo originariamente apparso il 28 dicembre 2020 su antoniomirediarte.blogspot.com. Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione di riprodurlo].