Prendo le mosse da un’intervista al regista Werner Herzog (a cura di Dario Olivero, “la Repubblica”, 13 novembre 2014):
“Internet non ha struttura. Ma la struttura deve essere in te. Per capire le cose devi capirne la grammatica. Solo così riuscirai a muoverti in questa massa amorfa di informazioni. Per farlo devi avere una struttura culturale, ideologica, informativa ed è quello che manca soprattutto ai più giovani.
Perché? Perché non leggono abbastanza. Questo vale anche per i film. La cosa che deve essere postulata è leggi, leggi, leggi. Se non leggi non puoi essere un uomo di cinema. Puoi essere un mediocre cineasta, ma non un grande cineasta. Devi leggere. Questa mancanza di grammatica culturale è una delle ragioni per cui la gente oggi vive un continuo senso di perdita. In Internet perdono se stessi e perdono le cose.
Come si recupera ciò che si perde? È come attraversare i paesi a piedi. È difficile da spiegare come il mondo rivela se stesso a chi viaggia a piedi. […] A volte quando cammini a lungo, il paesaggio non scompare ma adotta qualità diverse e sviluppa interi romanzi. Quando si cammina la sera e il sole cala e l’oscurità ricopre l’intero paesaggio si perde la direzione eppure si continua a tenere la strada”.
Quanto afferma Herzog ha ovviamente un valore che va ben oltre il riferimento al solo mondo del cinema e dei cineasti e cinefili. Riguarda un po’ tutti, specie se ancora crediamo o auspichiamo che le società in cui viviamo continuino ad essere rette da forme di governo democratiche e rappresentative. Il monito di Herzog ci dovrebbe stare a cuore se riteniamo che, con i loro pur numerosi e crescenti limiti e difetti, queste democrazie siano l’unica forma di reggimento politico, di organizzazione della convivenza, fin qui pensata e sperimentata, che sia capace di contemperare buoni livelli di libertà, uguaglianza e benessere, rendendoli tra loro compatibili. Limiti e difetti che si correggono non spingendo oltremisura e in ogni ambito la democratizzazione. Se lasciata fuori controllo e non adeguatamente temperata da contrappesi dove non può valere affatto il principio egualitaristico dell'”uno vale uno”, della democrazia resta solo la demagogia, una carcassa di sistema dove apparentemente comandano tutti e in realtà non comanda davvero che solo uno o pochissimi, acclamati, perché non tutti possono comandare né tanto meno simultaneamente. Laddove poi non si individui un principio di comando, si preferisce soprassedere e far deperire quell’ambito di vita associata. Non resterà a lungo ingovernato, ma subentreranno sostituti della legale autorità, perché tutto ciò che vive associato non muore mai ma chiede sempre guida e movimento. Vedere cosa succede là dove lo Stato latita: la criminalità organizzata subentra e dilaga.
I limiti e i difetti delle democrazie potranno essere concretamente affrontati e ridotti, non certo risolti, cominciando ad estendere il diritto-dovere di “grammatica culturale” al maggior numero di cittadini, che tali saranno solo se ben indirizzati a (ed attrezzati per) un esercizio consapevole, acuminato e responsabile, di parola e di decifrazione critica della realtà. E critica non vuol dire affatto mugugno, lamentela, pregiudizio negativo, sempre e comunque avverso all’esistente e allo status quo, anzitutto politico. Insomma quella logica del “Piove, governo ladro!” che diventa l’alibi dell’ignavia e del menefreghismo tipici dell’antipolitica (spesso descritta come voglia di un’altra politica, ma quasi mai lo è; piuttosto è negazione di ogni politica, tanto più se partecipata e condivisa). Ma non è solo questione di ricadute sulla politica, almeno non solo di quella dei partiti e delle istituzioni. Ha a che fare con le esistenze individuali e consociate vissute dentro e grazie alla polis, alla “città”, anche la più ampia possibile, si chiami “stato nazionale” od “unione europea”. Il problema è che, almeno sulle tante carte costituzionali, nazionali ed europee, i diritti sono abbondantemente proclamati, mentre il senso del dovere, che non sarebbe certamente male ribadire su carta e tramite pubblico insegnamento, alberga anzitutto nei cuori di uomini e donne. Qui entra in ballo il ruolo decisivo dei genitori, chiamati oggi ad invertire una mentalità fattasi costume e dogma sociologico secondo cui prima i diritti, poi, caso mai, i doveri, sempre e comunque dal sapore aspro del limite, dell’impaccio autoritario.
Già mi è capitato di scrivere su questo blog circa gli inganni e le trappole della Rete, vera tela di ragno che imbriglia e rende vano e persino letale l’agitarsi successivo di chi ne diventa preda, poiché serve solo a richiamare il predatore che quella tela ha tessuto. Werner Herzog ci ricorda come ogni labirinto, da un lato, nasconda il Minotauro e, dall’altro lato, richieda un filo di Arianna qualora se ne voglia uscire vivi e vittoriosi, dopo aver gustato l’avventura dell’ignoto e la sfida dell’ingiusto, da sconfiggere. Una grammatica culturale per non perdersi e non farsi frullare il cervello. Facile a dirsi, più difficile a farsi, specie se parliamo dei grandi numeri delle masse cittadine. Ed è qui che torna in ballo la politica, non solo di stati e governi, ma anche e prima di tutto delle famiglie, e il relativo governo dell’educazione e dell’istruzione. Chi vi provvede e con quali contenuti?
Altra indicazione di Herzog: riscoprire e praticare esercizi di rallentamento, simboleggiati bene dalle lunghe camminate a piedi, addirittura da pellegrinaggi per le vie d’Europa, in cerca del sacro come di se stessi. Herzog ha attraversato gran parte dell’Europa facendo affidamento solo sulle proprie gambe. Anche scalando montagne. Camminare, e ogni tanto sostare, per pensare. Camminare, fermarsi, ripartire, tutto questo è pensare. Camminare a lungo, e magari per sentieri non agevoli ma impervi, unisce libertà a disciplina. Ci si impone disciplina e si respira libertà. E anche su questo c’è da meditare, nonostante vada ricordato come si tratti sempre di qualcosa assai facile a dirsi e raccomandarsi, assai più difficile a farsi, specie per masse urbanizzate.
Trovo nelle parole di Herzog un’eco di quella idea di “lentezza” di cui ci parlò Milan Kundera in uno dei suoi ormai classici brevi romanzi filosofici, La Lenteur appunto. Autore e libro su cui converrà ritornare prossimamente a meditare. In Herzog c’è anche del nomadismo, che per alcuni studiosi del suo cinema si tratta di una componente molto forte del carattere del regista. Pensiamo agli avventurosi e travagliati viaggi in Africa. Herzog sarà anche arrestato due volte perché scambiato per un soldato mercenario. Un misterioso e affascinante continente, quello africano, attraversato in lungo e in largo per circa due anni. Viaggi compiuti anche, ma non solo, per realizzare una trilogia di film in cui spicca Fata Morgana (1970). Film estremo e radicale. Ma sempre con senso del limite, senza il quale non si va mai alla radice ma si sprofonda senza riemergere. Condannandosi all’inespresso, ad un irrimediabile mutismo. Senza un limite, non vi sarà alcuna vera salutare esplorazione delle radici delle forme, dei loro bordi estremi. Anche questo spunto da meditare troverete nella versione integrale dell’intervista di Dario Olivero a Herzog.
In conclusione è questo il suggerimento di Herzog: una buona alimentazione mentale prevede una doppia razione (giornaliera? settimanale? Decidete voi, in base alle disponibilità di tempo e spazio) di duplice esercizio. Grammatica e trekking.