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Il pomeriggio d’un campanaro di provincia

Charles Laughton, “The Hunchback of Notre Dame” (1939)

Longeva la miccia a cui appiccasti fuoco da giovane,
ma è combustibile da bruciare ogni età inconsapevole?
E, nel caso, quel fuoco è vita o solo cenere anticipata?
Che ebbro tu fosti, lo scopri più tardi, al meriggio
nella scena che si vuole protagonista, comprimari voi
abbacinati da quel sudario d’oro, vostra luce di sfondo
che impregna il corpo di entrambi, di lei e del fauno
uniti in questo amore d’arbusti e di tendini stirati
a gocciolare le ore nel meriggio d’un sogno agitato
cui mi stringo a difesa da ogni rintocco fatale.
Ma la città è lontana, e con essa le campane
non così lontane da non riecheggiarmi il passato
di un quasimodo che suda sin nei ventricoli dell’anima:
che fatica trainarsi lei e un destino in forma di gobba!
Potesse una sola cinghia dar contegno alla tua anima
flaccida, cadente come stelle che nominare non sai
con i tuoi desideri, troppo intimi, troppo spudorati
da essere maneggiati dalle tue dita martoriate dalle funi
con cui suoni a festa e a lutto, mai in sintonia con te
con il battito che dice quanto sangue oggi le daresti
pur di vederla arrossire per te, deforme ritratto di lei
ché è per questo lei non ti degna di uno sguardo, un sorriso
che le ricorderesti la stessa origine blasfema, sfidante
le più naturali regole con le quali circolare tra gli umani.
Ho il fegato spappolato dai rimorsi, dice il campanaro,
di aver osato un linguaggio non mio, di ciò mi vergogno!
Io al mio amore so solo dare un suono, a cui resto sordo,
e non basta la bocca se l’orecchio di te non accoglie rintocco.

Il pomeriggio d’un campanaro di provincia – Versione audio:

Maureen O’Hara e Charles Laughton, “The Hunchback of Notre Dame” (1939)

Vaclav Nižinskij nell’Apres-midi d’un Faune. Disegno di Léon Bakst (1912)