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Nietzsche couvert de femmes. Biglietto di follia alla gioventù d’Europa

Centoventicinque anni fa. Centoventicinque e poche settimane in più. Per la precisione, era il 3 gennaio 1889. È quello il giorno da cui si data la follia di Nietzsche, la sua prima crisi di follia in pubblico, l’inizio del crollo mentale, l’avvisaglia di un silenzio incipiente. Il celebre, forse ingigantito, episodio di piazza Carignano, a Torino: il cavallo frustato a sangue dal cocchiere, l’abbraccio dell’equino da parte del filosofo in lacrime che subito dopo cade a terra fra grida e spasmi. 3 gennaio 1889: iniziano i cosiddetti “biglietti della follia” (Wahnbriefe), serie di lettere che rivelano il precipitoso, oramai inarrestabile e irrecuperabile squilibrio mentale del filosofo tedesco. Stesso giorno, 3 gennaio 1889: lettera di Nietzsche a Cosima Wagner. Il mittente è da Torino, la destinataria è a Bayreuth.

Prima considerazione attuale. C’è del “sublime” in questa lettera, nel senso etimologico di questo termine-concetto che fu tanto caro al Romanticismo, e di cui Nietzsche è stato l’estensore massimo fino al suo squartamento in un’etica dell’interpretazione senza fine, così indefinita che l’etica s’è smarrita ed è rimasta l’interpretazione dell’interpretazione; un gioco sull’abisso, insomma. D’altronde l’aveva intuito lo stesso Nietzsche, quasi carnefice consapevole di sé stesso, dato che stava tentando un ardito e inedito esperimento filosofico su se stesso, cavia di un pensiero squartante i fondamenti della metafisica classica e moderna. Aforisma 146 dell’opera Al di là del bene e del male (1886): “Chi ha da lottare con i mostri deve star bene attento di non diventare un mostro lui pure. E se tu guarderai troppo a lungo in un abisso, l’abisso finirà per voler vedere dentro a te”. Ecco le prime parole dall’abisso e dell’abisso, che è dentro Nietzsche e sono destinate a Cosima, la più venerata:

Alla principessa Arianna, mia amata.
È un pregiudizio che io sia un uomo. Io però ho già vissuto molto tempo tra gli uomini e conosco tutto ciò che essi possono provare in vita, dalle cose più basse alle più alte. Tra gli indiani sono stato Buddha, in Grecia Dioniso, – Alessandro e Cesare sono mie incarnazioni, come pure il poeta di Shakespeare, Lord Bacon. Da ultimo, sono stato anche Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner… Ma questa volta vengo come il Dioniso vincitore che farà della Terra un giorno di festa… Non dispongo di molto tempo… Sono stato anche appeso alla croce…

Sublime, dicevo. Categoria estetica che già nell’etimo indica propriamente ciò “che giunge fin sotto la soglia più alta”. Al limite estremo, prima dell’abisso. Edmund Burke nel 1757 vi dedicò un trattato divenuto poi celebre, dove scrisse quanto segue, allo scopo di definire cosa sia questa Idea of the Sublime: “Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore”. Insomma, il sublime può anche essere definito come “l’orrendo che affascina” (delightful horror). Sublime, questa lettera nietzscheana, perché al limite del terrore. Follia allo stato puro è il suo contenuto? Non ancora, ma quasi. Follia pura e dunque pensiero poetante, ovvero sapienza. L’“ovvero” nella sua duplice funzione: congiunzione disgiuntiva, che presenta alternative escludentisi a vicenda, congiunzione esplicativa, per introdurre un chiarimento od un equivalente. Lo riassunse in pochi versi lapidari Emily Dickinson:

Molta follia è suprema saggezza
per un occhio che capisce –
molta saggezza, la più pura follia.
Anche in questo prevale la maggioranza.
Conformati, e sei saggio –
dissenti, e sei pericoloso.
Un matto da legare.

Tu pensa al folle shakespeariano, giullare o buffone di corte, colui che spesso “è quello che sembra e recita quello che è”. Più di tutti pensa al Fool di Re Lear, suo alter ego, pungolo, tarlo che spalanca la coscienza al vecchio sovrano per troppo tempo sordo alla saggezza e introspezione che dovrebbero essere massime virtù regali, specie in età matura. Ecco allora il Fool. Una follia a ragion veduta, quella del Fool. Follia dunque come predisposizione alla verità? Dipende. Forse è osare troppo. Diciamo che “non coincide mai con la verità: o è una mezza verità, o è una verità e mezzo”. Così Karl Kraus definiva l’aforisma. Kraus il caustico, per dire non tanto del mordace e del pungente quanto del pensiero che si fa sostanza capace di cauterizzare i tessuti organici, in superficie come in profondità. Talvolta, come nell’uso dentario, il caustico devitalizza. Prima dell’uso, anche filosofico ed esistenziale, leggere quindi con attenzione.
Nietzsche pensatore aforistico. Sempre che non sia davvero un pregiudizio il pensarlo un uomo, ipotizzando veritiera la follia della lettera a Cosima. Pensarlo un uomo, dunque anche un pensatore. Forse Nietzsche fu ed è solo un aforisma. L’anticipazione più scintillante e urticante del secolo del nichilismo gaio e un po’ kitsch (quanto kitsch in Nietzsche! Vedine il senso in pagine di Broch, di Kundera), quel secolo che si è aperto solo mezzo secolo fa nei paraggi e dentro l’Europa. Il rovescio della medaglia di quel giorno di festa in cui la Terra fu coinvolta per qualche anno all’indomani del doppio massacro di massa e del reiterato suicidio collettivo, tutti atti empi commessi tra il 1914 e il 1945. Sempre parafrasando e decrittando l’aforistico biglietto nietzscheano: un Dioniso disponibile solo a tempo determinato. Europa 2014: tempo finito?

Seconda e ultima considerazione attuale. Sempre su Nietzsche, partendo da Nietzsche, andando oltre Nietzsche. Rendendo follia per follia. Sempre in Al di là del bene e del male egli scrive: “Posto che la verità sia femmina, non è forse lecito supporre che tutti i filosofi, in quanto dogmatici, s’intendessero poco di donne?”. Presupposta la biografia di Nietzsche, non è che anche il filosofo di Zarathustra e dell’eterno ritorno, anche lui, ci abbia propinato dogmi sotto mentite spoglie? Può darsi, ma in quella frase, come sempre disponibile a farsi aforistica – dunque mezza verità o una verità e mezzo –, Nietzsche mostra di aver colto vizi e virtù della tradizione filosofica, e tout court culturale, dell’Occidente. E apre al Novecento, che si è consumato dando alla luce sul finire del proprio percorso secolare l’ultima Rivoluzione, quella cosiddetta “femminista”. Meglio dire: femminile, perché del dogma non abbia più niente e si dia interamente nuda, come intenzione e come azione di verità. Che dunque il ventunesimo secolo sia donna è l’enigma più grande e più bello da svelare, oppure il mito da reincantare per le generazioni a venire.

C’è un disperato bisogno che i cieli tornino a rallegrarsi. La dea madre rientri dall’esilio così che Nietzsche riposi finalmente in pace. Nietzsche couvert de femmes, come avrebbe detto uno scrittore parigino di origine normanna che si era portato il Così parlò Zarathustra nel proprio zaino di fante della Grande guerra. Un’esperienza, quella al fronte, di cui lo scrittore colse poi la natura di inutile strage mantenendo però il culto della forza come nostalgia di un’origine e il fascino ambiguo, a tratti perverso, dell’assalto. Uomo del suo tempo, che fu di ferro e fuoco, acidi e gas. Uomo come maschio, maschio come culto della virilità. 3 marzo 1939, settantacinque anni fa, proprio questo scrittore francese, Pierre Drieu La Rochelle, confessava: “Ho provato a leggere per la prima volta Zarathustra all’età di quattordici anni. Non ho capito niente, ma in quel libro fitto le poche frasi che si accendono sono come la voce di Jehovah in mezzo al roveto ardente. Ero sconvolto da quel richiamo di fuoco. Quell’uomo mi chiedeva qualcosa, esigeva qualcosa da me. La gioventù vuol dare sé stessa e cerca qualcuno che le chieda di darsi”. All’epoca fu la guerra, dapprima sognata quale impresa eroica e poesia epica, e poi vissuta come prosa dell’annientamento. Non ne bastò una prima mondiale, ce ne volle una seconda, ancor più mondiale, quasi globale, come fu nei suoi effetti postbellici. È tempo di cambiare destinazione a quel “darsi” entusiasta della gioventù affinché l’Europa veda svuotare la paglia dagli “hollow men” di cui è alquanto popolata sin dai tempi in cui ne cantava dolente Thomas Stearns Eliot (1925):

Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia…

Dunque nuova nascita. L’Europa puerpera che sostituisce il femminile al maschile. Meglio dire: che completa il maschile col femminile. Nietzsche couvert de femmes. Ricoperto di donne, colmato dalle donne. Lacuna risucchiata, terra non più desolata.
Resta infine vero quanto ebbe a dire Michel Foucault: “la follia di Nietzsche, cioè lo sprofondarsi del suo pensiero, permette a questo pensiero di aprirsi sul mondo moderno. Ciò che la rende impossibile ce la rende presente; ciò che la strappava a Nietzsche la offre a noi”. E ancora: “a causa della follia che lo interrompe, un’opera apre un vuoto, un tempo di silenzio, una domanda senza risposta, provoca una lacerazione senza rimedio in cui il mondo è destinato a interrogarsi”. L’interrogazione presuppone un interrogato, in questo caso coincidente in tutto o in parte con l’interrogante. La domanda prolungata esaspera, e oggi ne vediamo gli effetti. Nel frattempo, le risposte ci sono state e ci sono. Basta recuperarle e sottrarle alla Babele quotidiana. Ci sono elenchi di diritti e doveri da rispettare, di cose da fare. Breviari di buona politica in pronta consegna. Spetta ai giovani del 2014 farsene carico. E se nel 1922 Eliot cantava mesto e cerebrale l’elogio funebre di una Waste Land, nel 2014 attendiamo un Nietzsche completato da femmina che partorisca il primo germoglio in una terra nuovamente feconda, in cui la cerca del Graal riacquisti speranza di compimento. Con un’Europa prossima alle urne, provate a moltiplicare follia per follia finché non venga fuori un prodotto più che savio. Tra le righe, fuori dalle righe.

L’auspicio è che l’Europa trovi il proprio Fool non nello Yorick della tragedia di Amleto ma in Lavatch, il buffone della Contessa di Rossiglione, personaggio che scorrazza nella commedia di Tutto è bene quel che finisce bene. Commedia di viaggio, la più picaresca fra quelle di Shakespeare, in cui l’unico carattere coerente e determinato appartiene ad un personaggio femminile, ad Elena. Il Bardo lo fece apposta, per sovvertire le regole del tempo e le aspettative del pubblico, che tali virtù si sarebbe aspettato sempre e comunque da un personaggio maschile. Se Nietzsche fu davvero il primo dei “buoni Europei”, come ebbe a definirsi, il primo di coloro che smascherarono la verità come atto di sola volontà, e poi finì com’è finita, allora proviamo a pensare ai “nuovi Europei” in modo tale che la “volontà di verità” della Genealogia della morale (1887) non si areni sul bel lido dell’interpretazione fine a sé stessa. Prendiamo quel che di più potenzialmente creativo ci ha dato la fine del Novecento nella sua foga liberatrice: il femminile consapevole. Un maggiore pragmatismo non disgiunto da una sensibilità legata al senso di realtà. Oggi lo si trova più nelle donne che negli uomini, a parità di libertà e coltivazione d’intelletto. A patto che le donne non emulino l’uomo per credersi più emancipate. Che le une spronino gli altri. Chiediamo che la nuova Europa sia couvert de femmes simili all’Elena dell’opera shakespeariana. Perché tutto finisca per il meglio. Anzi, ricominci, e anche Elena e tutti i personaggi della commedia seguano Parolles, amico del Conte di Castiglione nonché il personaggio più amorale che però scopre la morale finale, e così anche gli Europei svestano i panni della maschera e da figure e figuri tornino ad essere donne e uomini.