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Il PCI e la famiglia negli anni Cinquanta

recensione apparsa su «L’Indice», XXVIII, n. 10, ottobre 2011, p. 37

MARIA CASALINI, FAMIGLIE COMUNISTE. IDEOLOGIE E VITA QUOTIDIANA NELL’ITALIA DEGLI ANNI CINQUANTA, pp. 333, € 26, il Mulino, Bologna 2010

Parlare di “famiglia” con riferimento alla storia italiana significa trovare una chiave di accesso privilegiata alla comprensione profonda delle radici e delle prospettive della politica e della società italiane. Ben ha fatto dunque Maria Casalini a cimentarsi con questo tema, circoscrivendolo al Partito comunista e ai suoi militanti, quadri e dirigenti, senza però mai perdere il disegno d’insieme politico-istituzionale, sia nazionale sia internazionale.
D’altronde, a lungo nel gergo degli studiosi si è parlato di “famiglie politiche”, o ideologiche. In Italia questa locuzione si è sempre caricata di una valenza ulteriore, tenuto conto della nostrana propensione al familismo, probabile risultato plurisecolare di un’altrettanto longeva latitanza dello Stato, ancor più prima che dopo l’Unità, specialmente al Sud. Ma il secondo dopoguerra ha segnato per molti aspetti un’epoca in cui si è fatto costante e massiccio ricorso al soggetto “famiglia” a scopi propagandistici e a fini di consenso elettorale. Il pensiero corre subito alla Democrazia Cristiana, ovviamente, ma il Pci non fu da meno, e non solo per naturale reazione e necessità di competizione politica. Si tenga anzitutto conto del fatto che l’Italia scoprì solo nel 1946 il voto politico femminile che si presentò come una assoluta incognita. Si pensi poi a cosa significò per l’Italia il cosiddetto “miracolo economico”, vero e proprio boom anche sul piano dei costumi e della vita quotidiana.
Il libro si ferma sulla soglia degli anni Sessanta, il decennio finale della “grande trasformazione” della nostra società. Consente però di scavare dentro un Pci solitamente descritto come partito monolitico in virtù del suo ferreo centralismo democratico. Casalini parla di “identità multiple”, e mostra con dovizia di documenti come nel partito crebbe nel corso degli anni Cinquanta il divario tra uomini e donne e tra adulti e giovani. Fino a porre le premesse perché a sinistra arrivasse in anticipo il terremoto del ’68.