Agli inizi di questo nuovo secolo e millennio Ola Salo, leader dei “The Ark”, gruppo musicale Glam rock svedese, cantava un brano poi diventato di successo, anche in Italia, dove fu un vero tormentone dell’estate 2001. Il suo titolo era It takes a fool to remain sane: ci vuole un folle per rimanere sani.
Ogni anno che passa su questa terra d’Italia la canzone della band svedese, grazie soprattutto a questo titolo, sembra diventare sempre più il sottofondo musicale di una generazione che sta perdendo a mano a mano l’entusiasmo di vivere e il desiderio di essere qualcosa di più che un bipede dotato di tubo digerente ed elastico sfintere. Il contesto socio-politico non aiuta, anzi. Il rischio della paralisi e della rassegnazione è altissimo. Il sistema massmediatico, dalla tv alla stampa al web, rincara la dose di pessimismo, trasforma l’impietosa disamina di una realtà difficilissima come quella italiana in un’apocalisse senza via d’uscita. Il tira-e-molla dell’“oggi va bene domani va male”, e così alternando, non fa che accrescere la depressione generale.
Un conto è il realismo come senso pratico di una realtà quotidianamente testata, quello che ti fa constatare che il complessivo assetto burocratico e legislativo di questo nostro Paese fa acqua da tutte le parti e, al contempo, ci ammorba sempre più con le sue inefficienze e disfunzionalità estenuanti, le sue esorbitanti vessazioni fiscali, i suoi privilegi mascherati da diritti, una burocrazia, anche giudiziaria, macchinosa e lenta, che è sistematica distruttrice di possibili riforme, uno squilibrio tra i poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario) sempre più stridente e illiberale, e poi l’appiattimento schiacciante che penalizza talenti e meriti e che è messo quotidianamente in moto da secolari consorterie e vetuste corporazioni prevalentemente composte da mediocri individui che beneficiano di appartenenze famigliari e relazioni coltivate con scambi di favore. Insomma, “i falsi che si fanno una carriera / con certe prestazioni fuori orario”, per citare un verso della canzone A muso duro del compianto Pierangelo Bertoli.
Nel Paese degli Azzeccagarbugli, dei Don Abbondio e degli Arlecchini solerti servi di due padroni difficile dire chi si salva tra palazzo e piazza, Stato e società civile, politica ed antipolitica. Si salva chi coltiva la follia e riesce a muoversi più vivo e ebbro di gioia creativa che mai, in mezzo ad una folla di persone martellate giorno dopo giorno da annunci di sciagure e crolli di Borsa, innalzamenti di spread e cadute di Pil. Le cose non vanno bene, lo sappiamo, l’abbiamo detto, ma non possiamo condannare le nuove generazioni alla seguente alternativa: o te ne vai all’estero oppure, se resti qui, devi ammazzarti dentro ogni speranza che pur ti nasce in cuore, perché questa è la naturale attitudine che l’infanzia lascia all’adolescenza. Dovresti insomma rassegnarti al mugugno quotidiano e a qualche sprangata di vetrina, se proprio la rabbia non la trattieni e non ti basta il voto a Grillo e il suo rosario di “vaffan….”.
La fuga potrebbe apparire la migliore e più facile soluzione. Un “viaggio” senza spostamento fisico. Ma non piegatevi all’uso delle droghe, perché non rendono folli ma solo schiavi del sistema, di mafie e multinazionali, di distruttori nostrani e stranieri che agiscono per brama di denaro. L’emergenza droga esiste ma è sottaciuta dai grandi media. Ultimi dati del Dipartimento Politiche Antidroga presso la Presidenza del Consiglio segnalano che dal 2009 ad oggi 280 nuove droghe sono entrate nel mercato illegale italiano. Sono quasi tutte sintetiche, spacciabili sotto forma di pasticche, come innocui integratori, le cosiddette “smart drugs”, acquistabili sulla Rete, on line, e diffuse tra giovani e giovanissimi. Molte anche le droghe “da stupro”, nel senso che procurano un’amnesia retrograda e che sono state indicate all’origine di 83 casi di violenza sessuale e raggiri consumati nell’ultimo anno in Italia.
Ciascuno di voi, ragazzi, provi a coltivare piantagioni non di marijuana ma di “opportunità per sentirsi coraggiosi”, come cantano gli Ark. Rivanghi e disseppellisca antichi ma non vecchi né tanto meno morti ideali cavallereschi, che s’addicono a uomini come a donne, perché di malvagità su questa terra, anche a portata di vicinato, ce ne sarà da combattere, altroché. Proteggere i più deboli, donne e bambini, dovrebbe essere l’ideale da coltivare da ogni giovane maschio sano perché folle rispetto a questo mondo che predica tutto come relativo e confonde il menefreghismo con l’individualismo. Solitari e solidali, direbbe Camus. Mai l’uno senza l’altro. Mai isolarsi troppo mai ingrupparsi troppo, perché non c’è culto del collettivo che non favorisca i soliti maiali orwelliani, stante la massima secondo cui “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
La tolleranza non è permettere che le mafie continuino a spadroneggiare su gran parte della penisola italica fino al punto di espandersi a macchia d’olio, succhiando dentro quella presunta libertà che sta nell’assumere droghe e fruire delle prestazioni di coartate prostitute. Liberalizzare le droghe, allora, per mettere in crisi il mercato della criminalità, micro e macro? Non ne sono affatto convinto, perché questo pur sbrindellato Stato, come rappresentante di una pur sfarinata comunità, non può dire: “me ne frego se ti spegni e non esisti più, se la tua mente fa cilecca e sei in balìa degli altri”. Ad uno Stato che non vuol grane e solo acquiescenza potrebbe persino far comodo un popolo di drogati. Prostituzione legalizzata? Qui il discorso è un po’ diverso: le droghe fanno male. Anche su quelle cosiddette “leggere” la controversia è aperta, e senz’altro un uso reiterato rende pesante il presunto leggero. Repetita non iuvant. “È probabile che la ripetizione produca calore piuttosto che progresso”, diceva George Eliot. E per sentirsi accalorati non si dovrebbe ricorrere alla chimica e a sostanze esogene. La follia di cui parlo è fuoco interno, forza motrice endogena.
Copulare non fa male, anzi. Si tratta “solo” di verificare se chi si prostituisce è adulto maggiorenne, e se lo fa per scelta propria od è invece costretta (o costretto, visto che esiste la prostituzione maschile e quella transessuale, di gran voga), e qui, va da sé, il “solo” non è certo poca cosa, implica un gran controllo assai più meritevole di sforzo da parte dello Stato che non il redditometro. Anche in questo ambito le certezze sono poche, il tutto va trattato col massimo di cautele, ma una scelta va fatta e una decisione presa, in questo Paese delle non decisioni. La gioventù vuole che si decida, anche sbagliando. Altrimenti muore di vecchiaia precoce. E poi non s’insegnava che la fortuna aiuta gli audaci?
Si dirà allora, lo so bene, che c’è pure la questione dell’alcool e del tabacco. Con una mano lo Stato consente e vende quel che con l’altra vieta e sanziona. È vero. C’è da riflettere bene su questo punto. Sul tappeto va dunque qui posta anche la questione della totale privatizzazione, oltre a quella della legalizzazione. Lo Stato nostrano mette gabelle praticamente su tutto. Anche l’alcool tra i giovani è una crescente piaga. Va combattuta con l’educazione, con l’apertura di orizzonti di senso rinserrati dalla depressione generale che circola sotto forma di pubblica opinione. Anche la droga si combatte con l’educazione, no? Sono convinto però che la droga sia un’altra cosa, specie oggi che più di ieri la chimica confeziona pasticche potenzialmente letali alla prima assunzione. Il bere vino con misura per aver piacere lo conosco; esiste anche il farsi di cocaina con misura? La rapidità di assuefazione è la medesima? C’è una forza trainante verso l’abisso che la droga possiede in modo unico, lasciando tracce indelebili, e così David Bowie paga da anni il conto alla cocaina con una mente che, per sua stessa ammissione, “funziona come un formaggio svizzero”. Gli stessi effetti dell’encefalopatia spongiforme bovina, il cosiddetto “morbo della mucca pazza”, con il cervello che prende l’aspetto di una spugna, crivellato com’è da una miriade di buchi microscopici. Che facciamo, consentiamo allo Stato di vendere l’equivalente della “mucca pazza”? E se non hai avuto nemmeno un briciolo del successo del Duca Bianco come potresti, tu anonimo cittadino, far fronte a tutto ciò? Non tutti hanno la fortuna di toccare il fondo senza annegare, e poi riuscire a risalire. Non tutti creano arte, né devono farlo, né, per chi lo fa, è necessario assumere sostanze stupefacenti per stupirsi. Il Dante della commedia divina è meno creativo e immaginifico del pur grande Baudelaire? Sono forse meno meravigliosi e poetici i paradisi artificiali danteschi di quelli baudelairiani? Bastasse drogarsi per essere geniali e anticonformisti! E allora perché favorire la vendita del masochismo, specie a fasce d’età più soggette a marketing e conformismo? Forse perché, in fondo in fondo, siamo tutti dei sadici o degli egoisti?
Non mi interessa fomentare l’indignazione. Mi sa troppo di onanismo, mentre qui si tratta di penetrare dentro il muro di gomma di una società in stallo e di uno Stato-pachiderma decrepito ma non morto, che si affloscia con tutta la sua mole su quella stessa società, in parte vittima e in parte carnefice. Partiamo dall’individuale, moltiplichiamo le individualità che osano per sé e invertono la scala dei valori odierni, nominandoli per quel che molti di loro sono: disvalori. Bisogna battersi e cercare le “opportunità per sentirsi coraggiosi”. Poter dire: “that’s my opportunity / to feel brave”. E se apparirà ridicolo, comunque scomodo perché non roba “da fighi”, che, ad esempio, un giovane aiuti un anziano o un disabile e gli faccia compagnia, o che si batta per una ragazza molestata in discoteca o perseguitata su facebook, o si scagli contro chi offende il compagno di scuola perché disabile, obeso, gay o tremendamente timido, comunque discriminato ed oggetto di bullismo, si ricordi che “ridicolo non è una vergogna / è solo un modo per eclissare l’odio / è solo un modo per raddrizzarsi / è solo un modo per rimanere sani” (sempre “The Ark”). La vergogna è non battersi per quel che ieri valeva e oggi non può non valere ancora: la giustizia come equità e difesa dai soprusi, specie dei più deboli e indifesi, l’onore (come difesa della propria dignità individuale, prima che di popolo), la lealtà, l’onestà, la fedeltà alla parola data, al patto siglato, l’assunzione di responsabilità, ecc. E poi, per dirla con Battisti e Mogol: scindere la gente, “quella chiara dalla no”, perché c’è ancora un bene, c’è ancora un male. L’indistinto è l’oscurità dietro cui si mascherano l’abuso e il sopruso dei furbi e dei meschini.
Ripeto con gli Ark: “Ci vuole un folle per rimanere sani di mente / In questo mondo ricoperto di vergogna”. Dillo a tutti, e mettilo in scena. E tu, ragazzo, credi al fatto che gli esempi coraggiosi sono spesso assai contagiosi.