Tu sei per me il tempio
in cui vengo a pregare
di notte a passo svelto
per restarvi più di quanto vi stia
un’eco di eco di quel che fummo
che siamo e saremo finché Dio vorrà.
Mimetica veduta d’assoluto
nell’occhio posato fugace sul tuo seno
e il ricciolo d’oro che oscilla al vento
sfuggito alle mie mani assetate
ripiegate a compulsarti il costato
motore a stantuffo di una vita
solida come mai ho palpato
afferrato e indossato e sempre snudato
mi ritrovai spesso travisatore d’amplesso
a barattare cosce con stelle,
dita appuntate con rosse matite
dacché non secondario è pensarti
quale vivo palpitante diario
rilegato in pelle bianca
e sfogliato sotto luce di luna
per cercare più fortuna
tra le pieghe dei tuoi fianchi
io che mi contemplo e arrendo
come da sempre
avrei voluto fare, congedare
dal mio cuore le sue ore
essere battito del tuo battito,
respiro attiguo mi dileguo
resterò un sigillo nei tuoi occhi
e negli occhi dei nostri occhi
dato che di padre in madre in figli
è sempre questione l’eternamente
fragile e mirabile questione
di future memorie suturate.
Così m’immergo e sommergo in voi
perché nascita di tua nascita,
è quanto ho appreso, e ti scrivo,
mio caro e amato diario
disteso sopra quest’ultima notte.