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Il calendario e il tempo. Riflessioni su un lunario d’artista /1

di CESARE SARTORI

Questa riflessione sul tempo risale al dicembre 2004 quando un’amica pittrice mi chiese di presentare pubblicamente, nella minuscola cavea del Museo Marino Marini di Pistoia, il calendario che lei aveva creato. L’artista all’anagrafe porta il nome di Francesca Ragusa, ma si fa chiamare Bunga Merah, che in giavanese significa «Fiore rosso». Francesca infatti è nata a Giava nel 1937 da padre siciliano e madre anglo-olandese che commercializzavano con l’Europa opere d’arte orientale. La sua cifra pittorica è un’originale sintesi tra ricerca artistica occidentale moderna e marcati elementi caratteristici della tradizione orientale.

Francesca Ragusa

Fu così che colsi l’occasione di assumere il calendario come un pretesto, un elegante e raffinato pretesto per alcune riflessioni intorno al tema del tempo. Però un’avvertenza è d’obbligo: invano si cercherebbe nel lunario di Francesca quei nudi femminili cui ormai ci hanno abituato la maggior parte dei calendari che vanno per la maggiore (esclusi quelli di Frate Indovino, di suor Agnese degli angeli, del Barbanera, ecc.).
Oh, sì, certo, con quei numeri del mese e quei giorni della settimana neri e rossi raggruppati là sotto come tanti haiku, anche in questo calendario di poetica e orientale leggerezza troverete silhouette femminili, ma sono più che altro suggerimenti e allusioni, più che donne reali, idee di donna, aeree e sfumate suggestioni, niente di esplicitamente carnale. Neppure l’ultima figura, pur nella sua decembrina, solstiziale, sfrontata isostenia morfologica, nella sua imperturbabile posizione di equilibrio, vìola quella poetica. E quindi in alcun modo il calendario di Francesca può essere equiparato a quelle «opere di misericordia» che sono i calendari con le bellissime nude, opere di misericordia li ho intenzionalmente definiti in senso letterale dell’espressione cioè soccorritori che vanno in aiuto di spente o indebolite fantasie maschili.
A proposito: vi siete mai chiesti perché sui calendari si continua a riprodurre soprattutto foto di donne nude, corpi perfetti di donne bellissime? Con una battuta che non spiega nulla si potrebbe rispondere: perché il calendario è femmina. Intanto la sua apparizione ha in qualche modo a che fare, oltre che con la regolarità dei fenomeni astronomici e con il ciclo delle stagioni, anche con l’apparente correlazione tra questi grandi fatti o eventi esterni all’essere umano e alcuni aspetti di genere della nostra vita: ciclo mestruale, gravidanza… E poi perché il principale anche se non l’unico sinonimo di calendario è lunario (non si dice per esempio: solario), parola che etimologicamente si riferisce alla Luna, identificata come astro femminile fin dalla notte dei tempi.
A me invece piace credere che quelle donne esposte sui calendari stiano lì come un promemoria per noi. Il calendario cioè, simbolo per eccellenza della caducità, provvisorietà e mortalità di tutte le cose, ci vuol ricordare due cose.
La prima: l’irriducibile diversità ed estraneità del mascolino e del femminino (come sostenne, a prezzo della vita, perfino Gesù Cristo) che quelle splendide pin up assolutamente perfette non fanno altro che sottolineare nella loro irraggiungibilità. Sapremmo che farcene di quelle splendide donne dei calendari? Alcuni, i più, sostengono avventatamente di sì; pochi altri – quorum ego – lo negano decisamente perché sanno, ricordano che non sono quelle pin up che ogni notte (ma anche di giorno) alimentano, confortano, eccitano la loro mente, il loro cuore, i loro sensi. Oh, no! Sono al contrario corpi splendidamente imperfetti che lo fanno e proprio in grazia e virtù di quelle imperfezioni. Senza quella cicatrice sul mento, quella bocca irregolare, quelle tette piccoline, quelle cianche secche secche, magari quelle unghie smangiucchiate, Lei non sarebbe più la nostra lei e noi non l’ameremmo più.
E poi quelle splendide pin up stanno lì a ricordarci, come preziosi talismani, una cosa che spesso confusamente intuiamo e cioè quale debito di reciproca riconoscenza si abbia gli uni con le altre, maschi e femmine, visto che già qui, oggi, nella nostra vacua e a volte disperata quotidianità, possiamo assaporare e gustare un po’ di eternità. Il che è possibile ma soltanto quando due sessi si incontrano. Non è forse vero quello che sostiene John Cheever che «una profonda e gratificante consumazione erotica è una visione [sia pure] fugace dell’anima immortale dell’altro nel momento stesso in cui si mostra la nostra anima immortale»? E non è forse vero quello che afferma Dimitri Merezhkovsky (1865-1941) «il sesso è l’unico contatto della nostra carne e del nostro sangue con l’aldilà»?
Raffinato ed elegante, il calendario di Francesca, non è però rivoluzionario, ahimé: il che è un bene e un male allo stesso tempo. Un male per noi che avremmo potuto magari usufruire e godere dei frutti di tale palingenesi (se per esempio avesse eliminato tutte le consuete date di scadenza delle cambiali!), ma un male per lei che sarebbe sicuramente finita appesa a una croce come il Nazareno. Eh sì, perché, come sostiene lo studioso pistoiese Alvaro Innocenti in un suo libro molto controcorrente dove sostiene un’ipotesi audace ma di rara capacità persuasiva, Gesù fu crocifisso perché si mise in testa di sovvertire, rompere, spezzare l’ordine costituito: quell’unione di sole e luna (cioè di maschile e femminile) su cui si basava il calendario giudaico di 2000 anni fa, predicando che i fratelli dovessero dividersi dai genitori e dai fratelli, quel Gesù implacabile e pietoso che non venne «a portare pace sulla terra, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10, 34-36).

William Blake, Newton (1795; riprodotto e ristampato nel 1805)

Fu infatti una guerra per il potere quella che scoppiò nel cielo e sulla terra di Giudea duemila anni fa. Perché gestire il tempo, cioè il calendario, significa gestire il potere, avere il controllo del calendario significa avere uno straordinario potere di imposizione su tutto un popolo.
Scrive sempre Alvaro Innocenti (Guerre del tempo nel cielo di Giuda – Un’altra chiave di lettura dell’ebreo Gesù, Mef-Firenze Atheneum, 2002, passim): «Decidere della sequenza dei giorni sacri e dei giorni profani significa mettersi nella giusta sintonia con il cosmo e, di conseguenza, con la divinità o non mettersi affatto. Da qui l’estremo interesse rivolto alla precisione di un calendario che scandisca ogni attività umana uniformandola a una convenzione che, se non altro, è indispensabile per definire scadenze legali e amministrative di qualunque comunità; ma anche indicare i tempi delle semine, dei raccolti, del pagamento delle tasse, dei riposi, dei riti religiosi, dei sacrifici, della transumanza e dell’allegria. In questo senso, la vita sociale sancisce infallibilmente la centralità del tempo che diventa l’elemento di coesione di un gruppo. […] È grazie al calendario che l’identità ebraica si è conservata per circa 4mila anni. Dal punto di vista religioso, la scelta di un calendario implica la scelta di una liturgia attraverso la quale si esercita uno straordinario potere di imposizione su tutta una comunità. Possiamo ben dire che gestire il tempo significa gestire il potere. I sapienti ebrei, al pari di altri, ne erano perfettamente consapevoli, come dimostra il fatto che dessero molta più importanza al tempo piuttosto che allo spazio e ritenessero irrinunciabile la santificazione del tempo; incamminandosi su questa strada, l’ebraismo spinge ad andare oltre la concezione della santità dello spazio e della natura, condivisa con altre religioni, per approdare gradualmente a quella del tempo, e in primo luogo a quella del sabbath (sabato)».
Rompere con la vecchia concezione dei «tradizionalisti, mettere in discussione tutto questo era un atto di assoluta temerarietà e di sconsiderata presunzione. […] Possiamo ragionevolmente credere che a questo mirasse Gesù assecondato dai suoi sostenitori. Frantumare il cosmo, colpire lassù in alto per rivoluzionare il tempo ebraico dopo aver staccato il sole dala luna, non era un’operazione che si potesse concludere a cuor leggero. Dividere il sole dalla luna voleva dire separare anche l’uomo dalla donna, assumandosi pertanto le responsabilità che conseguivano a una decisione di questa portata, suprattutto sull’equilibrio della corrispondenza tra “lassù” e “quaggiù”».
Anche se il computo del tempo non è mai stato facile perché i movimenti dei corpi celesti non sono riconducibili a numeri semplici. Il calendario è stato a lungo una scienza specialistica e iniziatica in mano a caste religiose o politiche: chi conosceva il calendario, conosceva anche le date delle celebrazioni religiose e quindi era in grado di comunicare con il divino. E quindi «in una concezione religiosa della vita, per soggiogare il mondo è ineluttabile la conquista del cielo; ed è lassù che si combatte». Quello del Nazareno non fu soltanto un assalto al tempio dei mercanti, degli ipocriti e dei farisei, ma un vero e proprio assalto al TEMPO, cioè al potere costituito.

(1/2. Continua)