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Una popolare “Mina vagante” contro la volgarità di massa

Ogni estate, da qualche anno a questa parte, c’è una trasmissione serale, una striscia quotidiana in “prime time”, come si suol dire in gergo televisivo, che fa ascolti record. Va in onda su RaiUno, subito dopo il Tg. Si chiama “Techetechetè”, e raccoglie frammenti video, sketch da programmi televisivi, prevalentemente risalenti agli anni Sessanta e Settanta, non disdegnando però anche gli ultimi trent’anni, dagli Ottanta ad oggi. Ma è proprio il confronto con gli anni Sessanta e i primi Settanta che fa cogliere come il termine “decadenza” non sia del tutto inappropriato se ci si riferisce allo stile con cui la televisione pubblica ha fatto spettacolo e intrattenimento in questi decenni. Uno stile che si è perduto rispetto a quell’epoca, che sembra più lontana di quanto in effetti non sia. Una levità, una leggiadria piena di gusto e tanto, tanto talento artistico caratterizzava trasmissioni nelle quali si rideva con la pancia e con la testa, perché personaggi come Lelio Luttazzi, Alberto Lupo, Walter Chiari, Paolo Panelli e tanti altri solleticavano anche l’intelligenza dello spettatore. D’altronde, l’ironia e l’umorismo sono cose ben diverse da una comicità triviale e dozzinale, che si nutre di solo o prevalente turpiloquio. E poi, su tutto questo e su tutti loro, svettava fino ad altezze siderali la voce multiforme, diafana e ruggente, pressoché divina, di lei, di Mina. Di tutto questo ci racconta “Mina vagante”, il nuovo spettacolo di Sandro Querci, tornato a dirigere la bravissima sorella, Silvia, che interpreta con coraggio e naturalezza la “Tigre di Cremona”. Lo spettacolo, che prende la forma di un’elegante e briosa commedia musicale, ha debuttato al Politeama di Prato il 7 e 8 febbraio scorsi.

Silvia Querci ha accettato una sfida al limite del suicidio per ogni cantante italiana nata dopo Mina: riportarne in scena presenza e voce. Sfida brillantemente vinta, perché si nota nell’interpretazione, come nella stessa regia del fratello, l’umiltà di rendere omaggio a personaggi inarrivabili e, proprio perché tali, ancora e sempre un modello inesauribile di apprendimento, tradizione e innovazione sapientemente miscelati. Lo stesso applauso merita un autentico talento come quello di Piero Di Blasio, che ridà vita a Lelio Luttazzi con grande rispetto senza però mostrare alcun timore reverenziale e anzi sapendo rileggerne la cifra artistica in piena autonomia e non perdendo in personalità. Insomma, la dimostrazione plastica di come la lezione dei classici resti valida a teatro come in tv, a scuola come nell’intera società. Basta capire che il classico chiede di essere sfidato, con rispetto e ammirazione ma senza alcuna sudditanza psicologica. Il classico come imitazione di qualcosa che ha ancora da venire. Un paradosso, certo, come tutta la vera arte, d’altronde.

Lo spettacolo “Mina Vagante” ha la forza, la misura e l’equilibrio giusti per riportare il pubblico indietro di circa cinquant’anni, ma di farlo con la voglia esplicita, dichiarata, di riproporre uno stile per il futuro. È proprio questa la parola-chiave: lo “stile”. Con una nostalgia che non vuole paralizzare, ma, all’opposto, essere di stimolo perché si recuperi qualcosa di veramente buono e giusto e lo si innesti nel modo contemporaneo di fare teatro e tv. Ed è proprio su questo binario (e binomio) di una tv a forma di teatro, nutrita di buon gusto, di un teatro di varietà pensato e ben scritto, che si incardinavano le trasmissioni che hanno fatto la storia della televisione pubblica italiana, da “Milleluci” a “Canzonissima” a “Teatro 10”. Stile vuol dire qualità, passione e tanto, tanto lavoro e disciplina. Lo stesso connubio che caratterizza questa produzione (la Walters Produzioni, di Barbara Gualtieri e dello stesso regista, Sandro Querci, la prima casa di produzione in Italia ad adottare ed applicare i parametri e le pratiche ecosostenibili del GEA – Green Entertainment Act – e ad operare all’insegna della valorizzazione delle risorse eccellenti del territorio).

L’epoca portata in scena sul palco del Politeama è quella della tv in “bianco e nero”, sinonimo di eleganza ed essenzialità, dove la parola, recitata o cantata, e il movimento coreografico dovevano saper comunicare ed incarnare quel colore e quegli effetti speciali di cui ancora non si disponeva. Lo spettacolo dei fratelli Querci riproduce alcuni dei duetti memorabili che videro Mina protagonista assoluta nei sabato sera della tv italiana: con Totò, Nino Manfredi, Alberto Sordi, e soprattutto quello canoro con Lucio Battisti, un duetto indimenticabile, riproposto con alcuni nuovi arrangiamenti alquanto elettrizzanti. Su tutti, quello della travolgente “Eppur mi son scordato di te”. Ottima davvero la band che suona dal vivo, diretta da un energico e ispirato Sandro Querci, che si fa silenziosa ma incisiva presenza registica in scena. E poi si possono riascoltare, interpretati da Piero Di Blasio, monologhi di meravigliosi attori come Walter Chiari o Aldo Fabrizi. Le coreografie, in perfetta sintonia con lo “stile” dello spettacolo (con, fra l’altro, un simpatico omaggio a Don Lurio), sono state curate da Ilaria Suss con Anna Colli Franzone.

Complimenti dunque a Sandro Querci e all’intera compagnia di questa “Mina Vagante”. Nel guardarlo si pensa: “Altri tempi, altro contesto sociale ed economico! Di un’Italia in pieno boom”. È indubbio, ma almeno sul piano della cultura, anzitutto di quella popolare, si potrebbe e si dovrebbe avere sempre a cuore la massima di un certo Buffon, non Gianluigi, il portiere di Juve e Nazionale di calcio, ma Georges-Louis Leclerc, un illustre naturalista nonché enciclopedista francese del Settecento, il quale ebbe a dire: “lo stile è l’uomo”. Anche una commedia musicale, quando fatta con amore e intelligenza, induce a pensarlo e può offrire un piccolo ma significativo contributo contro l’imperante volgarità di massa di cui la tv si è fatta da troppo tempo veicolo e amplificatore.